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Consapevolezza e incoscienza

Anche noi motociclisti siamo esseri umani e, come tali, abbiamo a volte il difetto di abbandonare la razionalità a favore di pulsioni non razionali. Se questa è una cosa molto bella in tanti campi della vita – dopotutto, ci permette anche di emozionarci per le moto! – quando si guida può a volte trasformarsi in un problema.

Un noto caso di abbandono della razionalità è l'”effetto pecora“, quello che ci porta a passare col rosso o a fare un sorpasso avventato per seguire un compagno che invece era in piena sicurezza. È chiaramente un comportamento pericoloso e da non ripetere, ma siamo perfettamente consapevoli fin da subito di aver peccato e ci ripromettiamo di non rivivere mai più lo stesso spavento.

Un altro caso noto di abbandono della razionalità è la spavalderia. Finché ci si limita a fare gli sboroni al bar, niente di male, il cazzeggio è il sale delle conversazioni, ma quando si guida, può portare a realizzare manovre al di fuori delle proprie capacità, con conseguente caduta nel fosso della curva o tamponamento o rovinosa caduta durante un’impennata. Anche in questo caso la pericolosità della cosa è ovvia a tutti, incluso l’autore della bravata.

Questa roba è arcinota e non mi interessa discuterne. Ciò di cui mi preme parlare qui è un tipo diverso di comportamento irrazionale, quello dettato dall’incoscienza. Nella lingua italiana questo termine è anche associato con la spavalderia, ma qui intendo usarla nel suo significato di “mancanza di consapevolezza di sé e delle proprie azioni”. È un problema particolarmente insidioso, perché colpisce quasi tutti i motociclisti, anche quelli più tranquilli, e si manifesta sotto forma di comportamenti non percepiti come pericolosi, ma che in realtà lo sono eccome. Essi possono essere di vario tipo, ma hanno tutti un’origine comune: scaturiscono dalla presunzione che gli altri utenti della strada si comporteranno in modo perfettamente legale e perfettamente prevedibile.

Spesso si è incoscienti quando si commette un’infrazione. Esempio classico in tal senso è il sorpasso di un veicolo in corrispondenza di un incrocio. Quello non ha la freccia, quindi si dà per scontato che non svolterà; poi però lui svolta lo stesso e noi finiamo in ospedale, se va bene. Sorpassare gli incroci è vietato proprio perché è pericoloso, ma nonostante questo, quasi tutti i motociclisti lo fanno senza esitare. Ma si può essere incoscienti anche in momenti in ci si sta comportando perfettamente secondo le regole. Il caso tipico è il sorpasso di un veicolo di fronte a una stazione di servizio, che pur non vietato dalla legge, è del tutto analogo al caso precedente e altrettanto pericoloso.

Per evitare questo rischio, ogni utente della strada e specialmente il motociclista, privo di carrozzeria protettiva, dovrebbe sempre tenere presente un principio di fondo:

se un conducente può fisicamente e plausibilmente realizzare una manovra, è probabile che lo farà.

Provate a guidare tenendo presente questo principio e vi renderete conto che diverse cose che di solito fate, in realtà comportano rischi anche gravi. Oltre ai casi dei sorpassi visti sopra, vengono subito in mente i seguenti:

  • attraversare un incrocio in velocità, presumendo che chi è obbligato a darci la precedenza, lo farà – e potrebbe anche essere non solo il conducente che vogliamo sorpassare, ma anche quello che viene in senso contrario e intende svoltare alla sua sinistra
  • attraversare un incrocio a più corsie affiancati ad un altro veicolo, presumendo che il conducente non sterzerà incrociando la nostra traiettoria
  • viaggiare veloci in città (in parecchie zone anche la velocità legale di 50 km/h è eccessiva), presumendo che nessun pedone attraverserà la strada senza guardare, nessun veicolo spunterà fuori da un passo carrabile e nessun conducente aprirà lo sportello
  • non rallentare fino a passo d’uomo in presenza di un animale in strada, presumendo che quello non scarterà improvvisamente nella nostra direzione.

Tutto questo non significa che dobbiamo diventare paranoici e terrorizzati da tutto quello che potenzialmente potrebbe accadere. Non a caso ho inserito la parola plausibile. Su un rettilineo extraurbano privo di incroci e accessi, non sorpassare il veicolo che ci precede solo perché ha la possibilità fisica di spostarsi a sinistra è esagerato, perchè di solito nessun conducente fa una cosa del genere. Ma se ci accorgiamo dalle indecisioni della traiettoria che quella persona non è perfettamente lucida o sta spippolando al telefonino, ecco che lo spostamento a sinistra diventa plausibilissimo e quindi è necessario adottare le opportune contromisure: richiamare l’attenzione della persona distratta con il clacson o non sorpassare del tutto se è chiaramente ubriaca.

Lo ripeto:

se un conducente può fisicamente e plausibilmente realizzare una manovra, è probabile che lo farà.

Tenete scolpito nella mente questo principio quando siete alla guida, sempre.

Scegliere la marcia giusta

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Il cambio è un sistema indispensabile con i motori a scoppio, che hanno poca coppia (cioè “tiro”) a bassi giri e ne hanno molta solo ai regimi medio-alti. A causa di tale caratteristica, non esiste un rapporto che consenta al veicolo da un lato di partire agevolmente (cioè con sufficiente accelerazione e senza bruciare la frizione) e dall’altro di raggiungere la massima velocità consentita dalla potenza del motore, ma è necessario adottarne almeno due, un rapporto corto per partire e un rapporto lungo per la velocità. Poi in realtà ce ne sono parecchi di più, perché se le nostre moto avessero solo due marce, avremmo una prima rabbiosa e una seconda addormentatissima, come se passassimo direttamente dalla prima alla sesta, e la guida sarebbe decisamente meno piacevole.

Aumentando il numero delle marce, il salto tra una marcia e l’altra diminuisce. In ogni caso, salendo di rapporto, ogni marcia successiva consente una maggior velocità a prezzo di una minor accelerazione.

Gli errori tipici

Si dà spesso per scontato che qualsiasi motociclista sappia cambiare marcia, ma con l’esperienza dei corsi mi sono reso conto che in realtà molti, soprattutto principianti, ma anche gente più navigata, fanno alcuni errori tipici.

Evitare gli alti regimi

È sorprendente quanta gente non abbia mai provato a tirare al massimo le marce della propria moto. Parecchi motociclisti e più di frequente le donne – che di solito non hanno la tipica ossessione maschile di misurare le proprie capacità di guida – decidono che oltre un certo livello di rumore si rischia di rompere tutto e, guarda caso, di solito fissano la propria soglia mentale dalle parti del regime massimo cui guidano la propria automobile, cioè intorno ai 4-5.000 giri. In realtà i motori delle moto girano molto più in alto; tipicamente, un bicilindrico arriva a 7-10.000 giri e comincia a tirare sul serio intorno ai 4-5.000 giri, mentre un quattro cilindri arriva a 9-15.000 giri e offre il meglio di sé non prima dei 6-9.000 giri. Il contagiri di ogni moto ha una linea rossa, che indica il regime massimo ammesso del costruttore. Si può arrivare fino a quella linea senza rompere niente e comunque non è possibile andare oltre, perché un apposito limitatore lo impedisce.

A che serve arrivare alla linea rossa? A parte a divertirsi, saper tirare le marce è fondamentale quando si sorpassa nel senso opposto di marcia, perché limita la permanenza contromano e consente di completare la manovra in spazi nettamente più brevi. Quelli che non sanno tirare le marce, rimangono dietro al bilico a sessanta all’ora per venti chilometri, mentre quelli che lo sanno fare, lo passano non appena hanno 2-300 metri liberi e si godono il resto della Valnerina senza smadonnare.

Scalare una marcia prima di effettuare ogni curva

Percorrere le curve con un rapporto che consenta di accelerare almeno decentemente è una buona idea, perché così si può usare il gas per accelerare in curva, cosa molto utile soprattutto nei tornanti per riacquistare un equilibrio stabile quando per errore si riduce troppo la velocità. Ma questo non significa che si debba cambiare marcia all’inizio e alla fine di ogni curva; nella maggior parte dei casi è molto meglio restare sempre con il rapporto adatto alle curve e lasciare il cervello libero per fare cose più importanti, come ad esempio impostare la traiettoria migliore.

Pensare che la prima serva solo per partire

Parecchi motociclisti, spesso anche di lunga data, affermano con sicurezza che la prima serve esclusivamente per partire e inorridiscono al pensiero che si possa usare in altre circostanze. Ma se devo affrontare un tornante molto stretto in salita ripida, perché diavolo non dovrei? È vero che di solito nella guida in velocità la prima non serve, ma quando arriva il momento in cui serve, va usata eccome!

La regole per l’uso del cambio

Ciò detto, vediamo come usare le marce. Volendo sintetizzare al massimo, si può ridurre tutto a due sole regole.

  1. Si tende a usare la sesta, tranne quando:
    • si è o si sta per scendere a una velocità tanto bassa, per cui la sesta non è utilizzabile
    • la salita è tale che il motore in sesta non ce la fa
    • in discesa in sesta la moto accelera ed è necessario frenare continuamente per mantenere la velocità costante
    • si vuole più accelerazione di quella disponibile in sesta.
  2. Si cambia solo quando è necessario, cioè quando si verifica qualcuno dei casi sopra indicati e in generale quando la strada impone un cambio di passo.

 Vediamo qualche esempio di cose da fare e da non fare in alcuni casi tipici.

Esempio A: la SS5 Quater, variante della Tiburtina tra Carsoli a Tagliacozzo (AQ)

Si tratta di un tracciato misto pianeggiante fatto di curve ad ampio raggio con brevi rettilinei.

1.       Guida spedita e scorrevole

In questo caso viaggio in sesta e non cambio mai, perché non si verifica alcuno dei casi elencati nei punti a-b-c-d elencati sopra. In particolare, visto che le curve sono ad ampio raggio, scalare marcia prima di ogni curva e tornare al rapporto superiore ad ogni successivo rettilineo sarebbe una pratica del tutto priva di senso.

2.       Guida rilassata sui 60 km/h per godersi il panorama

In questo caso uso una quarta, perché la velocità è troppo bassa per la sesta (punto a), ma resta il fatto che non ho motivo di cambiare marcia.

3.       Guida veloce col coltello fra i denti.

In questo caso scelgo probabilmente una quarta – dipende dalle caratteristiche della moto – perché voglio avere una bella accelerazione in uscita da ogni curva (punto d), ma anche stavolta tendo a non cambiare mai.  Scalare marcia prima di una curva e cambiare di nuovo lungo il rettilineo successivo avrebbe senso soltanto se questo fosse lungo abbastanza da far superare i giri massimi del motore.

Esempio B: la SS125 Orientale Sarda nelle vicinanze di Campuomu (CA)

Come si vede dall’immagine, si tratta di un misto variabile, che da largo diventa stretto da un certo punto in poi.

1)      Guida spedita e scorrevole

Uso la marcia più comoda in base alla velocità permessa dal tracciato. Nel caso particolare illustrato potrebbe essere una quarta o quinta nel tratto A, per poi passare alla terza nel tratto B.

2)      Guida rilassata sui 60 km/h per godersi il panorama

Tengo lo stesso comportamento, ma nel tratto A non supero la quarta a causa della velocità troppo bassa (punto a).

3)      Guida veloce col coltello fra i denti

Stesso comportamento, ma con marce più basse per una maggiore accelerazione (punto d), tipicamente la terza nel tratto A e la seconda nel B.

Esempio C: la SP44b per Monte Livata (RM)

Questo è un tracciato di montagna con tratti quasi rettilinei relativamente lunghi seguiti da tornanti abbastanza stretti. La pendenza è moderata.

1)      Guida spedita e scorrevole

Uso una marcia lunga (quinta o anche sesta) nei tratti scorrevoli, ma scalo tipicamente in seconda ad ogni tornante, dove la velocità scende di parecchio (punto a), per poi tornare alla marcia lunga nel rettilineo successivo.

2)      Guida rilassata sui 60 km/h per godersi il panorama

Tengo lo stesso comportamento, ma arrivo fino alla quarta nei rettilinei a causa della velocità troppo bassa (punto a).

3)      Guida veloce col coltello fra i denti

Anche in questo caso scalo ad ogni tornante fino in seconda o anche in prima (per esempio su una 600 sportiva a quattro cilindri, molto fiacca ai bassi giri). La marcia superiore dipende dalla lunghezza dei rettilinei, dalla potenza del motore e dalla rapportatura, tipicamente sarà una terza o una quarta, con la sesta sicuramente fuori discussione per la scarsa accelerazione (punto d).

Esempio D: la SS38 tra il Passo dello Stelvio e Trafoi (BZ)

Si tratta di un tracciato di montagna non troppo diverso dal precedente, ma con tornanti più stretti e maggiore pendenza.

1)      Guida spedita e scorrevole

Percorro i tratti quasi rettilinei in terza o in quarta, per avere abbastanza potenza in salita (punto b) e abbastanza freno motore in discesa (punto c), e scalo in seconda e spesso in prima nei tornanti (punto a), particolarmente in quelli in salita a destra, per loro natura più ripidi e stretti.

2)      Guida rilassata sui 60 km/h per godersi il panorama

Stesso comportamento descritto sopra, ma probabilmente la pendenza renderebbe impossibile tenere la quarta, per cui mi limiterei a una terza.

3)      Guida veloce col coltello fra i denti

Stesso comportamento descritto per la guida spedita e scorrevole, il tutto ovviamente a velocità e regimi più alti.

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Le regole delle traiettorie

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Utilità delle traiettorie

Le traiettorie sono la cosa più importante per una guida sicura e ciò che più differenzia chi sa veramente andare in moto da chi crede di saperlo fare. Infatti, una buona tecnica delle traiettorie consente di aumentare enormemente i propri margini di sicurezza e la propria efficacia, grazie ai seguenti vantaggi.

  1. Tiene lontano dai pericoli: traffico in senso opposto, traffico proveniente dalle traverse, veicoli che ci vogliono sorpassare, sporco al margine esterno delle curve, persone, cose e animali sulla strada.
  2. Consente in curva di piegare di meno a pari velocità – oppure di andare più veloci a parità di piega – rispetto a chi segue traiettorie non ottimali.
  3. Azzera la necessità di manovre correttive inutili, cioè quelle dovute a errori di impostazione.
  4. Consente di gestire con la massima efficacia e sicurezza gli imprevisti del tracciato, come le curve a raggio decrescente e in generale le curve inattese, e quindi consente una guida più sicura, spedita e rilassata sui tracciati sconosciuti.

Di fatto non esiste una traiettoria universale valida in tutte le circostanze, perché anche a parità di tracciato, essa varia in base al tipo di strada, al traffico e alla velocità a cui si viaggia. Non a caso, sia nel mio manuale “L’arte della sicurezza in moto“, sia nel webinar “Capire la moto con Claudio Angeletti“, ho descritto una lunga serie di casi, più che definire le regole generali.

Ovviamente, non potevo essere soddisfatto di questo stato di cose, doveva per forza essere possibile arrivare ai principi generali. Ragionandoci ancora, credo di essere finalmente riuscito a a distillare le regole definitive per costruire qualsiasi traiettoria, che sono l’oggetto di questo articolo.

Regole generali per la posizione da tenere su strada

Prima di parlare di traiettorie in curva, è opportuno chiarire alcune regole fondamentali che devono sempre essere rispettate quando si circola su strada.

A. Come regola generale – e quindi salvo i casi descritti nelle regole che seguono – si viaggia al centro della corsia di marcia più a destra, perché questo ci tiene lontano dai pericoli sui due lati, impedisce a chi è più veloce di sorpassarci nella nostra stessa corsia facendoci il “pelo” e non lo costringe a spostarsi in un’eventuale corsia a destra per sorpassarci.

B. Ci si tiene ad abbondante distanza di sicurezza – anche cambiando corsia, quando possibile – da veicoli in movimento, persone o animali, perché potrebbero spostarsi lateralmente.

Ciò vale a in modo particolare per i veicoli in senso opposto che sconfinano nella nostra corsia o anche solo minacciano di farlo, perché probabilmente sorpasseranno un pedone o un veicolo lento o un qualsiasi ostacolo sulla strada.

C. Ci si tiene a distanza di sicurezza da veicoli parcheggiati, traverse e accessi carrabili, per evitare sportelli aperti all’improvviso e veicoli che superano la linea di margine per consentire ai loro conducenti di vedere se arriva qualcuno – cioè noi.

D. Qualsiasi sorpasso, anche se non si sconfina nel senso di marcia opposto, può essere fatto solo se non si è poco prima o in corrispondenza di un incrocio – anche regolato da semaforo – o di un accesso carrabile frequentato o di un attraversamento pedonale, perché il sorpassato potrebbe spostarsi lateralmente, oppure in mezzo al sorpasso potremmo trovarci davanti un veicolo o un pedone.

Questa regola vale anche prima o in corrispondenza delle stazioni di servizio sulle carreggiate a doppio senso, che sono da considerarsi incroci a tutti gli effetti.

E. Il sorpasso nel senso di marcia opposto può essere fatto solo quando ci sono visibilità e spazio sufficienti e deve essere eseguito nel più breve tempo e spazio possibile, per ovvie ragioni.

F. Se la strada è a doppio senso si tengono comunque le ruote a una distanza dalla mezzeria tale, da evitare di sconfinare anche solo parzialmente nel senso di marcia opposto, anche se abbiamo la visuale libera e non sembra arrivare nessuno, perché in questo modo si costruisce una buona abitudine e non ci si trova mai a disagio quando effettivamente arrivano veicoli in senso inverso.

G. Se la strada è a doppio senso ed è tanto stretta da non consentire l’incrocio agevole tra veicoli, si viaggia il più possibile vicino al margine destro, evitando comunque rigorosamente lo sporco sul margine nelle curve a sinistra.

Regole per le traiettorie in curva su strada

Ferme restando tutte le regole generali elencate sopra, le regole per costruire traiettorie sicure ed efficaci in curva sono le seguenti.

1. All’inizio di ogni curva si imposta una traiettoria tale da avvicinarsi progressivamente e il più possibile al margine interno (nelle curve a sinistra si tiene ovviamente conto della regola generale F), che deve essere raggiunto il più possibile vicino alla fine della curva e comunque deve essere mantenuto fino alla fine di essa.

Questa è LA REGOLA. È essenziale, perché consente:

  • di trovarsi nella posizione finale migliore per entrare in una curva successiva nella direzione opposta – cioè all’esterno rispetto ad essa;
  • di trovarsi nella posizione finale migliore per stringere una curva che inaspettatamente diventa più stretta;
  • nelle curve a destra, di massimizzare la distanza da eventuali veicoli in senso opposto che tagliano la traiettoria.

Se durante la percorrenza della curva il margine non si avvicina o, peggio, si allontana, si tratta di un errore gravissimo, perché si perdono tutti i vantaggi sopra elencati e quindi si aumenta enormemente il rischio di cadute e collisioni.

2. Se l’andatura è tale da dover rallentare per percorrere la curva e/o la curva è cieca, si può sfruttare la larghezza della propria corsia per allargarsi e iniziare la curva in prossimità del margine esterno.

Questa regola comporta, in aggiunta ai precedenti, i seguenti vantaggi:

  • aumenta il raggio della traiettoria percorsa e quindi riduce l’angolo di piega a pari velocità o consente una velocità maggiore a parità di angolo di piega;
  • consente di vedere più lontano nelle curve cieche.

Se però non ci sono necessità dovute a velocità o a visibilità, questa traiettoria non ha molto senso, perché fa soltanto perdere metri senza alcun vantaggio in cambio.

3. Solo se la curva è seguita da un rettilineo o da una successiva curva a destra a breve distanza, è possibile sfruttare la larghezza della corsia per accelerare e allargarsi prima della fine della curva.

Questa regola ammette, se le circostanze lo consentono, un’ulteriore aumento del raggio della traiettoria percorsa e quindi maggiore velocità in uscita di curva. Ma attenzione: allargarsi in uscita deve essere sempre il risultato di una nostra scelta e non una cosa cui siamo costretti perché abbiamo impostato male la traiettoria. Se finiamo larghi senza volerlo, abbiamo violato la regola 1., perciò perdiamo tutti i vantaggi elencati sopra e ci esponiamo a rischi gravi per la sicurezza.

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Ragazze, diffidate degli alti!

Ragazze, diffidate degli alti.

Lo so, mi rendo conto che sia una posizione alquanto perentoria e generalistica, ma datemi retta. Diffidate degli alti.
I motociclisti “alti” (sopra i 175 cm) sono portati a pensare che sia assolutamente impossibile andare in moto senza toccare con entrambi i piedi per terra, sono convinti che poter “zampettare” stando seduti sopra la moto sia l’unico modo possibile per fare manovre e non credono in nessuna maniera che una ragazza sui 50 kg possa gestire una moto di 200 kg. Manco ce la dovessimo portare a spalla, dico io.

Questo perché la “natura” non li ha mai portati a farlo e non perché sia realmente pericoloso o peggio ancora “quasi impossibile”, e – scusatemi se insisto – poco conta se la persona che vi suggerisce questa idea ha 10-20-30 anni di moto sulle spalle: perché per tutti quegli anni non avrà fatto neanche una volta quello che farete voi. O se ci ha provato si è trovato in difficoltà dimenticandosi che era la sua prima volta ed è normale dover prendere le misure.

...e hop!Parto dal presupposto che andare in moto non sia un diritto, i diritti son ben altri, e che non tutti siano portati per la guida, ma se vi piace la cosa e avete realmente intenzione di seguire la vostra passione non fatevi deviare. Attenzione che qui prendo un’altra posizione forte e tendenzialmente impopolare: solo voi sapete quel che è meglio per voi stesse. Ok, dai diciamo che se non avete mai guidato e iniziate a fare la ronda ad una 1198 Troy Bayliss magari in quel caso un esamino di coscienza me lo farei. Ma tendenzialmente le ragazze sono abbastanza brave ad autolimitarsi e riconoscere i propri limiti, pure troppo. Sono anche straordinariamente brave ad abbattersi e pensare che “avevano ragione, quella roba non fa per me”.

Lo scenario standard è che in assenza di dimestichezza coi comandi, con un appoggio a terra non perfetto e una forza fisica inferiore a quella di un uomo, ad ogni “ciuff” (rumore tipico del motore a quattro tempi che si spegne perché troppo basso di giri) ne consegue una probabile quanto innocua caduta da fermo. Ma il rumore di una moto che cade e l’impatto emotivo di vederla a terra abbandonata a se stessa è sempre una cosa non positiva. Ed ecco che la ragazza demotivata spesso si rifugia nel suo mentore dicendogli “pesa tanto, non ci tocco, avevi ragione. Comprerò una moto che non mi piace, ma più adatta a me”. Ecco, signore, ve ne prego. Non cadete in questa considerazione della moto “più adatta a me”.

Lo so che si dice che son tutti omosessuali con il lato B altrui (ehm, forse non era proprio così), ma chi vi scrive è alta 1.59 e certo non con la zampa lunga e se dovesse guidare una moto in cui tocca con entrambi i piedi per terra non dovrebbe andare oltre la 883. Eppure a me piacevano altre moto, eppure a me piacevano le enduro anche. E quindi che fare? Niente, nessun coniglio dal cilindro. Ma quando c’è una passione vera come quella che muove tante altre lady allora si cade comunque, ma ci si rialza e giorno dopo giorno si apprendono delle piccole astuzie: si impara prima di arrivare ad uno stop a sbilanciare leggermente la moto da lato in cui volete poggiare il piede (ecco che non ne servono più due), si impara a fare manovra scendendo dalla moto ed appoggiandosela al fianco, si Ecco.impara a spostarla con la prima marcia e il motore (ed ecco che la moto non pesa più) e si può anche imparare la tecnica giusta per rialzare da sole la moto sfruttando le leve più favorevoli della moto stessa (ma se c’è qualcuno a darci una mano, tanto meglio).

Non date quindi retta a chi suggerisce di modificare la moto con le biellette (lowering kit), o peggio chi punta a modificarne la ciclistica infilando la piastra sulla forcella e spompando il mono posteriore in modo che quando vi sedete guadagnate 5-6cm. Anche la sella esageratamente bassa è una cosa che vi incassa, vi costringe in una posizione obbligata e vi toglie piacere di guida, sì perché la moto dev’essere prima di tutto guidabile.

E quando vi fermate per definizione mica state guidando.

 articolo di Giada “Ghiaia” Beccari, che ringraziamo!

La passeggera riluttante

Va bene, diciamolo, a me tutta sta passione per la moto risulta incomprensibile. Mi fa sbuffare e alzare gli occhi al cielo: è una questione di fede, mi rendo conto. Sono atterrata sul sito sbagliato, mi direte. E invece no, perché io con questa fede ci convivo tutti i giorni.

Ricordo uno dei primi appuntamenti con quello che, sfidando le leggi della fisica (40 cm di differenza) e della mente (no, io non sono mai salita su una moto), sarebbe diventato mio marito. Ricordo ancora il VFR rosso su cui sono salita per la prima volta, con incoscienza (nel senso di inconsapevole noncuranza), preoccupandomi più che altro di come conciliare l’andare in moto con i miei due problemi esistenziali: il freddo e il fashion victimism.
Ho sempre pensato alla moto come un semplice mezzo, fatto per raggiungere uno scopo evidente e di natura pratica. Sempre più mi rendo conto che invece è davvero uno strumento di affermazione del Sé.
Non starò qui a raccontare le speranze di condivisione deluse, le giacche da moto comprate e indossate 6 volte in 6 anni. Non starò a dirvi che per me il casco è sempre stato l’odiato oggetto che rovina i capelli e che mai, dico mai, mi sarei sognata di vederlo appoggiare sul letto come un trofeo (che poi è sporco no? perché deve stare sul letto!?).

Insomma, ancora oggi, nonostante i tentativi di mediazione, evito di andare in moto perché l’inverno fa freddo, l’estate fa caldo, ho il torcicollo, poi puzzo di smog, ecc. Ancora rispondo piccata a chi mi chiede “perché non sei andata anche tu in Patagonia in moto?!”. Sempre meno riesco a far finta di interessarmi alle lunghe discussioni tra motociclisti perché, diciamoci anche questo, appena sento “moto” il mio cervello va in risparmio energetico. Ancora sbotto quando inciampo negli ingombranti e costosissimi accessori da moto, tenuti come reliquie …che non potevamo appassionarci a ‘na cosa meno invadente no?!

Nonostante le premesse melodrammatiche, io con questa passione ci convivo felicemente da anni. Anche perché è una passione portata avanti con forza ma anche con maturità e continua voglia di migliorarsi. Ed eccoci qui, a parlare di sicurezza in moto, quella parte meno divertente, quella che non è per niente appealing, che questo “Safe” nel nome io l’ho osteggiato per lungo tempo. Un po’ perché l’idea della sicurezza, appunto, è poco cool. Un po’ forse anche perché, sotto sotto, il tormentone moto=pericolo ci perseguita e anche i più spavaldi se lo portano dietro, e allora è meglio non parlarne proprio!

Ora, io non ci capisco nulla. So solo vagamente cosa sia una traiettoria, guido di malavoglia la macchina e quando guido sono (ero?) una persona pessima. Poi mi guardo intorno e capisco quanto fondamentale sia la sicurezza stradale. Mi guardo come sono oggi mentre guido e penso che tanto devo a chi mi ha riconciliato, per quanto possibile, con la strada e con il mezzo.

Mi guardo infine in moto, come passeggera riluttante e penso a quando, dopo aver preso le misure al mezzo e al guidatore, finalmente ho deciso che potevo stare sicura, e mi sono addormentata su una moto da corsa, in corsa, senza maniglie e senza bauletto.

 

articolo di Maria Nesticò (che ringraziamo!)

Think! La sicurezza secondo Her Majesty

Di Claudio Cartia

 

Apriamo una prima finestra sull’estero, per scoprire cosa si fa fuori dall’Italia per la sicurezza stradale in termini di comunicazione e campagne di informazione. Se la riduzione dell’incidentalità stradale e del numero delle vittime è un obiettivo acclarato e comune a tutti i governi dei paesi sviluppati, non altrettanto condivisi sono i mezzi e le metodologie messe in campo per raggiungere tali obiettivi.

Le campagne di sensibilizzazione sono particolarmente interessanti, rispecchiano chiaramente i diversi approcci e le diverse sensibilità verso uno stesso problema. Sono anche un argomento spesso controverso, soprattutto in Italia. Una delle obiezioni che più spesso viene sollevata nel nostro Paese riguarda l’efficacia di tali campagne, quindi l’opportunità o meno di spenderci soldi che potrebbero essere utilizzati in opere più concrete.

La seconda ha a che fare con lo stile che viene impiegato per tali campagne. La maggior parte degli spot televisivi e della cartellonistica utilizzata all’estero, soprattutto nel Nord Europa, è molto diretta, non usa metafore, mostra il morto se necessario, fa leva sulle emozioni e le paure del pubblico a cui è rivolta. Nel nostro Paese invece le campagne di sensibilizzazione (invero piuttosto rare) che arrivano sui principali canali televisivi e sulla stampa sono molto “soft”, fanno largo uso di metafore, inquadrature fuori campo e di sottintesi, evitando di mostrare immagini crude.

Chi scrive ritiene che il nostro approccio sia poco efficace… ma prima di approfondire la situazione italiana, diamo uno sguardo in casa dei nostri vicini.

THINK! – Road Safety è l’iniziativa lanciata dal Ministero dei Trasporti Britannico  nel 2000, allo scopo di unire sotto un unico marchio tutte le campagne e le iniziative di sensibilizzazione ai problemi della sicurezza stradale.

L’ambizioso obiettivo che il Governo si è dato è quello di ridurre del 40% il numero di vittime e feriti gravi sulle proprie strade entro il 2010, usando il 1986 come anno di riferimento. Sempre secondo i governanti Britannici, l’educazione e la pubblicità giocano un ruolo fondamentale nell’aumentare la consapevolezza degli utenti della strada, per cui… ecco Think!.

Le campagne promosse negli anni da Think! sono numerose e diverse. I temi più spesso affrontati sono la guida sotto l’effetto di droghe e alcool, l’attenzione verso le “categorie deboli” della strada (pedoni, ciclisti, motociclisti), il rispetto dei limiti di velocità nelle zone urbane.

Per alcune campagne sono stati creati dei portali specifici, come nel caso della guida sotto gli effetti delle droghe.

Gli spot televisivi di Think! sono generalmente di ottima fattura, realizzati da comunicatori di fama internazionale come M&C Saatchi  o WCRS, sono estremamente schietti ed espliciti, spesso drammatici.

Alcuni esempi…

Fate attenzione ai motociclisti:

Guida in stato di ebbrezza:

Cinture di sicurezza:

 

Trattandosi di Inglesi non mancano anche gli spot con un certo umorismo (e ottimismo) di fondo. Tra i più simpatici segnalo questi due: