Guidare la moto è come risolvere il cubo di Rubik

Molti di voi lo ricorderanno per averlo tenuto in mano e non aver saputo come maneggiarlo. Non siate maliziosi, parlo del cubo magico o cubo di Rubik. Ma anche chi non è passato attraverso l’esperienza di aver provato a risolverlo quand’era ragazzino magari l’ha conosciuto in questi giorni grazie a Google che gli ha dedicato un banner. Personalmente lo avevo rimosso dalla memoria ma nei giorni scorsi, proprio grazie a Google, ho avuto modo di approfondirne i segreti per la sua risoluzione e mi sono accorto che ha tantissime similitudini con il “guidare bene una moto”.

Lo so che sulle prime vi sembrerà un’affermazione avventata e che ai più tale similitudine non balzerà agli occhi, ma la realtà dei fatti è che guidare bene una moto è come risolvere il cubo di Rubik. Se provate a digitare su Youtube “soluzione al cubo di Rubik” troverete tantissimi video che vi spiegano come l’applicazione in sequenza di alcuni algoritmi (parecchio complessi) permetta di arrivare sempre alla soluzione benché le combinazioni possibili siano praticamente infinite (non è esatto, ma sono diversi miliardi).

Non solo, scoprirete che delle menti illuminate riescono ad applicare tutti questi algoritmi a velocità impensabili ed a risolverlo in tempi compresi tra i 5 ed i 10 secondi. Sono dei veri talenti. Il passaggio chiave però non sta nella velocità e nel talento, il passaggio chiave sta nel fatto che tali algoritmi vengono applicati in sequenza e, paradossalmente, alcuni sembrano allontanare il giocatore dalla soluzione ma, in realtà, si tratta solo di passaggi obbligati per raggiungere l’obbiettivo. Tali algoritmi vanno applicati tutti nella sequenza corretta senza essere saltati ed eseguiti senza commettere il minimo errore, o il cubo non potrà essere risolto. Sono passaggi precisi che non si posso improvvisare e che per essere eseguiti necessitano di tanto allenamento e di tanta attenzione. Cosa c’è di diverso dal guidare bene una moto? Ve lo dico io: nulla.

Guidare bene una moto presuppone che le cose vadano fatte tutte (nessuna esclusa), nella giusta sequenza ed eseguite correttamente. Per poter padroneggiare quest’arte inoltre è necessario passare attraverso diversi passaggi che non possono essere saltati. Le menti illuminate sapranno scegliere la sequenza più corretta, non sbaglieranno l’esecuzione e sapranno svolgere tale compito a velocità superiore agli altri; i piloti ne sono un esempio per quanto concerne la guida in pista. I più bravi sono tali perché fanno le cose giuste, al momento giusto e nel modo giusto. Ed hanno imparato a farlo perché hanno compiuto anche tutti i passi necessari per imparare a farlo (per imparare gli algoritmi e come e quando metterli in sequenza). Ma come per il cubo di Rubik, non è la velocità ed il talento ad essere la chiave del discorso, la chiave è che per arrivare ad un dato risultato (guidare bene la moto) bisogna giocoforza passare attraverso dei passaggi intermedi che, all’utente distratto, posso far sembrare che la direzione intrapresa sia sbagliata ma che si saltassero non porterebbero mai al risultato finale. Tali passaggi si imparano in diversi modi: attraverso l’esperienza e/o attraverso lo studio. In entrambi i casi, con umiltà, impegno ed attenzione costante. Purtroppo la moto non fa eccezione rispetto a tutte le altre cose della vita.

un cubo per ciascunoRecentemente ho vissuto un’esperienza illuminante. Le premesse a questa esperienza sono due: la prima è che io mi considero un medio-bravo motociclista, che sono consapevole dei miei limiti e sono anche consapevole che sul globo esistono molti motociclisti migliori di me. La mia vanità ogni tanto mi fa pensare però di essere un po’ più bravo di quanto non sia nella realtà delle cose. In parte mi inganna la memoria storica di quando ero effettivamente più bravo, allenato, svelto, sensibile e chi più ne ha più ne metta… in una parola, di quando ero più giovane ed in parte accade perché con il passare del tempo si consolida la convinzione di essere già riuscito a risolvere il cubo e che non sia necessario risolverlo ogni volta che si esce in moto. Due errori da non fare. Il cubo, quando si è in moto, va risolto sempre. La seconda considerazione mi serve per rimarcare semplicemente quanto abbiamo già detto: qui non si tratta di velocità di esecuzione ma semplicemente di trovare le giuste sequenze per arrivare al risultato e che per farlo magari occorre passare per una sequenza che disfa parte del cubo già fatto per ottenere alla fine un cubo ancor più completo.

Beh, l’esperienza di cui volevo parlarvi è semplice: ho guidato alle spalle di uno bravo. Per bravo intendo bravo e non spericolato. Parlo di uno che guida bene, che imposta curve rotonde, pulite, non frena mai, viaggia veloce e si vede che ha dei margini anche quando la velocità in rapporto al suo mezzo è elevata. Ma come fa? Non vi annoierò con tutte le considerazioni che mi sono passate in testa e con le prove che ho fatto da solo in quei km. Vi basti sapere che, confrontandomi con lui, mi sono reso conto che utilizza mediamente una marcia in meno di me. Semplicemente una scelta di rapporti? Si, certo, un filo in più di freno motore, un po’ di più di tiro a centro curva, ma sta tutto qui? Potrebbe anche essere, in fin dei conti il mio cubo non è la performance assoluta ma riuscire a non toccare il freno neppure quelle poche volte che l’ho dovuto fare, essere ancor più rotondo e superare la paura di quei pochi gradi in più di piega. Per scoprirlo ho provato ad imitarlo e, anche se il mio stile è leggermente diverso, mi sono accorto che la cosa funzionava abbastanza; a quel passo, su quella strada, la scelta dei rapporti era più equilibrata ma nonostante questo non riuscivo ad ottenere il medesimo risultato sentendomi sicuro al 100%. Il freno non lo toccavo più ma mi restava una certa dose di incertezza. Così mi sono osservato e mi sono studiato.

Mi sono accorto di due cose: la prima è che avendo cambiato leggermente stile mi irrigidivo nell’ingresso di curva e la seconda (strettamente correlata) è che essendo la mia mente abituata a certe sensazioni era reticente ad accettarne altre (entrare in curva un po’ più veloce e percorrere la curva leggermente più forte). In particolare la mia mente era convinta, per dirla facile, che sarei andato per terra benché i miei sensi non lo percepissero. Ho dovuto far collimare i sensi e la mente ma per poterlo fare ho dovuto eseguire dei passaggi intermedi, applicare degli algoritmi. Piano, piano. Mi sono dovuto inventare un sistema per evitare che le braccia diventassero più rigide di quanto fosse necessario. Quindi, applicato l’algoritmo delle cambiate e successivamente applicato l’algoritmo atto ad ottenere maggiore sensibilità e meno rigidità ho risolto quel pezzo di cubo. Non avrei potuto fare uno solo di questi passaggi per ottenere il risultato che mi ero prefissato. Le cose vanno insieme, fatte nella sequenza giusta e svolte nel modo giusto. In tutti gli altri casi, il cubo non si risolve.

La cosa buffa è come ho “lavorato” per ritrovare sensibilità e dolcezza e non irrigidirmi troppo in ingresso curva. Mi sono inventato un esercizio che può sembrar cretino, che può sembrare una cosa inutile o addirittura allontanare dall’obbiettivo. Io ve lo dico, senza che questo debba essere considerata una perla di saggezza, mi serve solo per far comprendere il senso di quanto sto dicendo nella sua accezione più ampia. Mentre viaggiavo in rettilineo mi sono messo ad ondeggiare i gomiti in su ed in giù. Una specie di svolazzamento. Mi sono poi imposto di fare la stessa cosa mentre percorrevo la curva. Chiaramente non ci sono entrato a cannone, ma mi sono imposto di continuare a far svolazzare le braccia e non toccare i freni. So già a cosa state pensando. Ma vi posso anche dire che fare quest’esercizio per riacquistare morbidezza l’ho trovato molto utile. Impossibile diventare rigidi, non avvicinare il busto, non spostare spalle e corpo nel modo corretto e riuscire a fare la curva, se la volete fare starnazzando come un’anatra. Fatta qualche curva così mi sono accorto che stavo più morbido e ne traevo dei benefici. Piano piano ho riacquistato sensibilità sull’anteriore. E così ho ripreso ad andare normalmente lasciando le braccia leggermente meno dure, muovendomi leggermente in avanti, insomma accompagnando meglio curva e moto. Il punto comunque è che starnazzare può sembrare un passo indietro, sulle prime mi son sentito anche piuttosto pirla, ma è stato un passaggio obbligato per sciogliere un’abitudine che si era consolidata; un passaggio obbligato per poter aggiungere un pezzo al mio algoritmo.

La scioltezza e la giusta misura tra forza ed elasticità sono alla base di una guida rotonda. Senza di quelle, le sensazioni percepite saranno sempre distorte ed il corpo non potrà muoversi come deve per accompagnare i movimenti della moto.

Per tornare al nostro cubo è stato proprio l’esercizio dello svolazzamento che mi ha fatto venire in mente il paragone tra come si risolve il cubo di Rubik ed il guidare bene una moto: disfare una cosa che sembrava fatta (erano anni che non mi potevo il problema) per ottenere alla fine un tassello in più. Lo so che la cosa non vi quaglia, che è passibile di critiche, ma il significato non sta nell’esercizio, il significato sta nel fatto che se non trovate il modo per stare meglio sulla moto, per fare un piccolo passo avanti, non potrete raggiungere un risultato leggermente migliore. Come ci arrivate è ininfluente. Utilizzate il sistema che vi piace di più (prove dirette, scuola di moto, studio personale, consigli di amici più bravi, osservazione di campioni, etc), ma cercare il miglioramento a volte passa per la demolizione e la ricostruzione di un automatismo sbagliato (o non completamente corretto). Non ci sono storie. Bisogna trovare il modo di fare la cosa giusta, l’algoritmo corretto. Perché solo le cose giuste possono portare alla soluzione del cubo.

Cosa ci insegna questa esperienza e cosa vuol dire questo lungo articolo che sono gli eroi saranno arrivati a leggere fino a questo punto: ci insegna che solo vedendo le cose fatte bene si può provare a copiarle ed a metterle in pratica. Ma ci insegna altre due cose: la prima è che una cosa apparentemente facile (guidare bene una moto), facile non è ma ci si può arrivare (come alla soluzione del cubo); la seconda è che saltare un passaggio, anche un solo passaggio, preclude la soluzione.

Mi rivolgo specialmente ai principianti, non focalizzatevi sul risultato finale (il cubo risolto) ma cercate di capire cosa fanno quelli capaci di risolverlo per arrivare alla soluzione. La chiave è solo e sempre quella: fare le cose giuste al momento giusto. Anche in termini di tempo per imparare. Non cercate di applicare tutti gli algoritmi insieme. Imparate i passaggi uno ad uno e poi allenatevi a metterli in sequenza, uno alla volta, piano piano. Create degli automatismi (sui quali restare vigili) e fin che non avrete appreso le basi non avventuratevi nella sequenza successiva. E se dovete demolire una vostra abitudine per far posto ad una migliore non abbiate paura a farlo. Solo così riuscirete ad avere tutte le facce del cubo dello stesso colore.

Mi permetto solo un’ultima considerazione che potrebbe sembrare ovvia ma che ovvia non è: ogni moto è un piccolo mondo, ogni moto necessita della propria tecnica. Ci sono molte diversità anche nel guidare due moto uguali ma di due persone diverse. Le regolazioni di gomme e ciclistica, i pesi, i giochi, le usure, etc posso rendere diverse delle moto apparentemente identiche. Cercate di cogliere nelle diversità la necessità di adattare stile e ritmo o potreste trovarvi con delle amare sorprese. Detta in altre parole, non è che se lo fa lui allora lo posso fare anch’io… lo posso fare anch’io, è vero, ma a determinate condizioni, questo non dimenticatelo nel vostro percorso di apprendimento.

Tutti possono risolvere il cubo, basta sapere come farlo. Qualcuno più talentuoso lo potrà fare più velocemente ma la sostanza non è quanto tempo ci metto per arrivare alla soluzione, la sostanza sta nel percorso che è obbligato ed univoco ed il cui apprendimento contiene la gran parte del divertimento.

Non perdetevelo.

Buona strada. T.

Ringraziamo il nostro amico Tato (Levrieronero) per averci concesso la pubblicazione del suo articolo.

Prova Kawasaki ZRX1200R Lawson Replica

Di Claudio Cartia

Io mi arrendo subito.

Lo dico all’inizio di questo articolo, così evitiamo malintesi e incomprensioni dopo, mentre lo leggete.
Non sono Claudio Wotan Angeletti e quindi non ho l’autorevolezza per spiegarvi la curva di erogazione del motore di questa moto qua, o del perché è stato scelto un acciaio così anziché uno cosà per forgiare le bielle.
Non sono nemmeno Enzo Glock Trapella, che potrebbe spiegarvi quanti click dare al freno in estensione al posteriore a seconda della traiettoria che preferite tenere sulla strada che sale a Vallepietra.
E non sono neppure Emiliano Lobo Loco Luchetti, che senza dubbio avrebbe gioco facile nel correlare questa necessità di elevate cubature con la carenza di adeguate dotazioni anatomiche.
No, non sono capace di tutto ciò e anche se lo fossi sarebbe inutile, perché il problema è a monte. Se infatti cercassi di ricondurre questa moto a un insieme ragionato di tabelle, specifiche e misurazioni, alla sensibilità ciclistica alle regolazioni e alle geometrie, o anche solo alla razionalità dei pro e contro del mezzo… beh, tanto varrebbe ammettere fin da ora che questa moto fa schifo.

E invece non solo non fa schifo, ma è tutto il contrario, è una figata! Come è possibile?!

Ma andiamo con ordine, eh.

Intanto stiamo parlando di questa roba qua, guardate che bella:
KawasakiZRX1200REddieLawsonReplica. Tuttoattaccato.

Per chi vuole un minimo di dettagli, trattasi di Kawasaki ZRX 1200R del 2003. Gli strateghi del Sol Levante l’hanno chiamata Eddie Lawson Replica perché assomiglia alla moto con cui Steady Eddie vinse un po’ di titoli nel campionato AMA nei primi anni 80, probabilmente nella speranza che qualcuno la comprasse pensando di trovarsi tra le mani una race-replica pronto pista.
Che sagome, alla Kawasaki!

Un pitone. Per me è semplicemente Morelia. Si chiama così perché così la chiamava il precedente proprietario e -mi hanno spiegato- alle moto come alle barche il nome non si cambia, sennò porta sfiga. Oltretutto a me Morelia piace, ho sempre pensato fosse un riferimento a qualche pornostar degli anni 80, salvo poi scoprire che ha a che fare con il Morelia Viridis, ovvero questo pitone in foto. La somiglianza con la moto è effettivamente pazzesca e comunque pitoni e pornostar non sono concetti così distanti quindi possiamo dire che ci avevo quasi preso.

Dicevamo.

La ZRX-R è una moto vera, come molti amano sottolineare. Immagino sia perché ha pochissima elettronica e molto poco a che fare con la modernità. Quelli che parlano delle moto vere  solitamente sostengono anche con nostalgia che i pomodori non hanno più il sapore di una volta e che ai loro tempi si giocava all’aperto con cose semplici. Sospetto che siano gli stessi che da ragazzini si guardavano bene dal mangiare pomodori e passavano il tempo crocifiggendo lucertole, perché se tanto mi da tanto il loro concetto di “moto vera” si traduce più o meno in “catafalco ignorante ai limiti dell’inguidabile”.

Ecco vedi? Sembra di nuovo che sia un cesso di moto. No no no, niente di più sbagliato.
Uff, riproviamo.

La ZRX è sicuramente una “moto vera”, intanto perché ha tutte le cose dove te le aspetti. Un bel serbatoione di metallo al centro, un motore gigantesco con tutto in mostra, una bella batteria da quattro carburatori (!) assetati di benzina, il rubinetto della riserva (!!), una strumentazione essenziale e persino una sella bella grossa comoda pacioccona con le finte cuciture che fanno molto eighties. Ci sono addirittura ben due capienti vani sottosella, roba che non si vede su una moto da anni, pensavo li avessero vietati per legge.

C’è poi una lunga lista di cose che non ci sono, esattamente quelle che fanno storcere il naso ai nostri amici torturatori di lucertole: niente ABS o controllo di trazione (ah-ah), niente strumenti digitali, immobilizer o luci a LED. Figurarsi che non c’è nemmeno l’orologio. La centralina di questa moto è grande meno di un pacchetto di sigarette, tanto per rendere l’idea.

Ma tanto che importa? Ci salite sopra, cercate per un attimo di non far caso al fatto che sembri pesare 350kg, mettete in moto e partite… e tutto il resto non conta più.

Brum! Bruuuuumm!!Perché la verità è che questa moto è maledettamente divertente!
Non vi fate ingannare dalla sua paciosità e dalla facilità con cui si fa portare a spasso nell’uso normale. Basta superare i 6000 giri per entrare in un meraviglioso mondo fatto di emozioni forti e cattiveria repressa. Vi sentirete come il camionista di The Duel, vi ritroverete a sgasare a ogni occasione, vi sembrerà perfettamente normale fantasticare su scippi in monoruota fuori dagli uffici postali.

Siccome mi sto già esaltando e rischio di perdere nuovamente il filo, facciamo che cerco di fare il bravo tester e procediamo per argomenti.

Motore

Spettacolo. Godimento puro. Il motorone della Rex spinge come un dannato in basso e ai medi regimi, non ci vuole chissà che impegno per trovarsi con la ruota anteriore per aria o con il posteriore che pattina in partenza. Con circa 120 cavalli non infrange nessun record in termini di potenza assoluta, ma sono tutti a portata di mano e scaricabili a terra in ogni momento, con grande soddisfazione oltretutto.
Un motore così elastico è buono anche per andare a spasso, con tutta quella coppia e sole 5 marce vi dimenticherete presto del cambio e potrete godervi il panorama ad andature turistiche e con consumi tutto sommato umani.
Ma ci sarà quella vocina, quella necessità di fondo, che vi accompagnerà sempre e che, prima o poi, vi porterà a spalancare di nuovo il gas e a sorridere inconsciamente sotto il casco.
Rassegnatevi.

Ciclistica

Se siete abituati a quelle moto in cui basta pensare la traiettoria per torvarcisi magicamente dentro, scordatevelo. Qua bisogna pedalare come su un pedalò nella tempesta! La Rex va guidata con le braccia, i piedi, le gambe, tutto il corpo. Controsterzo, pedane, ginocchia piantate nel serbatoio, nulla è superfluo quando si tratta di tirare in piega la verdona e tenerla lì dove si vuole, soprattutto quando il ritmo sale. E salirà, statene certi.
Difficile vincere trofei sul misto stretto e altrettanto difficile ottenere rigore dall’avantreno quando si fa sul serio, ma ciò che si perde in precisione e agilità di guida lo si guadagna, moltiplicato per cento, in gusto di guida e nella netta sensazione di essere un abile domatore di leoni incazzosi.
Il fatto che si trovi a suo agio anche ad andature turistiche non ne fa certo una moto da viaggio ideale. Sì, è comoda anche in due, ma la protezione aerodinamica non esiste, l’autonomia non è granché e la verità è che se prendete una moto del genere per fare il giro d’Europa siete dei masochisti, inutile argomentare oltre.

Freni

A dispetto delle promesse di una coppia di disconi con pinze a sei pistoncini all’anteriore, la potenza in frenata è buona ma non è esaltante soprattutto se gli tirate il collo e se lo fate per lungi tratti. La forcella tendenzialmente morbida non aiuta. Il freno dietro invece si blocca fin troppo facilmente, ma immagino che per i puristi delle “moto vere” sia un pregio.

Cambio e frizione

GRRRR!La frizione -stranamente idraulica- fa il suo dovere, il cambio invece fa cagare. Davvero, non capirò mai perché non siano riusciti a metterci un cambio decente, circostanza verificata anche su altri esemplari. Forse ha a che fare con quel discorso della moto maschia: se non prendi una sfollata nei cambi più veloci e non fa uno STUNK da far girare tutti al semaforo inserendo la prima, allora non è da veri uomini. Vai a sapere.

Consumi

Ah ah ah ah! No, dài, seriamente.

Voto finale

Tre erezioni e un mal di testa.

(ed è più semplice da mantenere di un pitone. O di una pornostar.)