La pista è di tutti!

Vengo anch’io, no tu no!

Chi di voi ricorda questo simpatico motivetto? Ma soprattutto, che c’entra con un articolo che dovrebbe trattare di moto e, nel dettaglio, di moto in pista? C’entra perché vorrei trattare questo argomento da un punto di vista diverso, che poi è quello che a noi di SafeRiders sta più a cuore: l’approccio ad una nuova esperienza muovendo i primi passi nella giusta direzione.

Ma la canzoncina direte voi? Un attimo, ora ci arrivo. Probabilmente, anche se non ve ne siete accorti, è il motivetto che dentro di voi è risuonato ogni volta che avete pensato di provare la pista.  E’ successo a livello inconscio e senza accorgervene vi siete detti “no tu no”! Anche se poi si è palesato in altre forme che dovrebbero aver risuonato più o meno cosi: mi piacerebbe ma…“non ho la moto adatta”,  “non ho le gomme in mescola”, “non sono in grado”,“ costa troppo“. Questo, sommato alla giustissima e doverosa paura della prima volta, ha portato sicuramente molti di voi a desistere e, lasciatemelo dire, è un vero peccato.

Proviamo allora a sfatare falsi miti e credenze da bar dello sport analizzando le problematiche più ricorrenti.

non serve una race-replica per girare in pista“Non ho la moto adatta”. 

Falso, non esiste una tipologia di moto adatta alla pista ma contrariamente ne esistono alcune adatte solo alla pista. Possederne già una al nostro primo tentativo, risulterebbe più o meno come voler possedere un telescopio astronomico per rivolgere un  fugace sguardo alle stelle.  La moto che abbiamo, purché sia progettata per un uso stradale (intendo su asfalto) va benissimo. Esistono invece situazioni inadatte, quelle in cui il nostro livello di esperienza o la nostra moto non vanno bene per niente. Ad esempio, se foste sul predellino di un’imbarcazione pronti a tuffarvi per la vostra prima immersione, vorreste che sotto di voi ci fosse la fossa delle Marianne? Penso proprio di no, quindi evitiamo di prenotare per il debutto una giornata di prove libere tra velocisti al Mugello magari solo perché ci va un amico.  Esistono giornate adatte ai debuttanti, con turni riservati a chi inizia, spesso con apri pista messi a disposizione dell’organizzatore.  Altro ottimo metodo è la suddivisione in tempi sul giro, grazie alla quale si accede al circuito in gruppi omogenei per capacità e velocità.

“Non ho le gomme in mescola”. 

Tranquilli non vi servono ancora. Occorre solo presentarsi con un treno di gomme almeno a tre quarti della loro aspettativa di vita. Poiché per quanto la vostra autostima inizi a crescere non appena mettete piede all’interno del circuito, il limite di tenuta delle vostre coperture è ancora lontano dalle vostre capacità. E se tra di voi ci fosse, e ve lo auguro, un talento nascosto? State certi che le vostre gomme non vi abbandoneranno lo stesso. L’unica cosa che le differenzia dalle loro sorelle specifiche è la capacità di sostenere molti giri a ritmi e temperature elevatissime prima di iniziare a cedere grip, ma non è ancora il nostro caso.

 “Non sono in grado”. 

Conservare il giusto timore reverenziale fa sempre bene, ma non deve esserci di ostacolo.  L’ambiente nel quale questa nuova esperienza prende forma è importantissimo. Gettarsi d’istinto nella situazione sbagliata spesso finisce solo per restituirci un’idea distorta di ciò che abbiamo vissuto ed ecco che quella vocina interna torna a dirci cose tipo “non fa per me”. Potrebbe sembrare banale detto da noi, ma iniziare con un corso di guida in pista è ovviamente la scelta più adatta.  Affidarsi a un amico può andar bene se riconosciamo in lui capacità e competenze necessarie. Il fatto che lui vada forte non è abbastanza.

“Costa troppo”. 

Vorrei potervi dire il contrario, come vorrei anche che le piste fossero parchi giochi gratuiti per bambinoni cresciuti, ma ahimè la pista ha i suoi costi. Diciamo solo che se fa parte delle nostre priorità troveremo di sicuro il modo come facciamo per lo specchietto, il casco, la marmitta, il giubbotto…ok mi fermo! D’altronde esiste un modo a voi conosciuto per ostacolare i desideri di un motociclista? Se lo trovate, vi prego ditemelo!

E il nostro orrendo motivetto? Già non lo sentite più? Bene, allora ci vediamo in pista! Vi aspetto.

Ah dimenticavo, dovesse accadere anche a voi di contrarre quel virus che io chiamo “pistite”, non me ne abbiate a male, è un virus che si propaga a fin di bene. L’unico modo conosciuto per contrastarlo è abbassare la visiera, percorrere la corsia dei box ascoltando il rumore del motore che sale allo stesso ritmo dei tuoi battiti. Poi arrivi a quella linea bianca che si assottiglia portandoti dentro il circuito, è l’ultima volta che ti volterai indietro. Da quel momento in poi andrai solo avanti correndo incontro alle tue emozioni.

Lo specchio del motociclista

Di Emiliano Luchetti

 

Mi ricordo quando arrivai per la prima volta al bar del paese con la vespa del ’68 del mio babbo, era il mio passaporto per entrare nel mondo dei motociclanti. Avevo compiuto 14 anni da una mezza giornata e la fame di moto mi portava ad avvicinarmi a gente che sembrava vivesse solo di quello, ragazzi, uomini, vecchi lupi che non parlavano d’altro per ore: modifiche, marmitte aperte, storie incredibili e teorie sulla dinamica della moto a dir poco improponibili. Il bar diventò da quel momento la scuola delle due ruote dove potevo imparare tutto, o almeno pensavo, quello che c’era da imparare da professoroni dall’alito che sapeva di Montenegro e da giovani ricercatori che si presentavano al bar bestemmiando perché avevano perso qualche pezzo per strada che avevano aggiunto poco prima.

Altro che scuola, i primi tempi sembrava l’università, imparai a impennare, sgommare, cadere e sbucciarmi bene bene,  ma da subito notai un aspetto che ancora oggi mi intriga: nessuno in quel bar e nelle successive “scuole” che ho frequentato poneva l’attenzione sulle tecniche di guida, il focus rimaneva quasi esclusivamente sul mezzo, eccetto in quei casi in cui il pilota era evidentemente più bravo rispetto alla media della “classe” e si permetteva di sfoggiare manovre da stunt contornate da perle di saggezza su come si guida, che però risultavano criptiche a tutti. La maggior parte dei riders che ho conosciuto idolatrava, sminuiva, caratterizzava le motociclette appiccicandoci sopra adesivi, aggiungendoci o togliendoci parti convinti di modificare le qualità del mezzo.

Credo che questo argomento stia alla base dei nostri comportamenti e vorrei tentare di mettere in luce dei meccanismi ai quali facciamo poco caso.

La motocicletta  è un oggetto meraviglioso, per come è fatta e per quello che proviamo quando la usiamo, è uno strumento di piacere con il quale possiamo vivere esperienze emotive di elevata intensità. Per lei siamo disposti a spendere soldi, litigare con chi vive con noi pur di mantenerla, prendere la pioggia, ogni tanto anche qualche multa, intorno alla moto si organizzano gruppi, eventi e stili di vita. Perché? In prima analisi possiamo dire che con la motocicletta viviamo esperienze emotive, diventa per molti un simbolo di passione, questo vale anche per coloro che dichiarano di non volerci avere niente a che fare perché intimoriti, ovvero attiva anche in loro emozioni nonostante queste non vengano percepite positivamente.  Quindi in relazione alla moto ci emozioniamo e per questo motivo  si attiva un meccanismo inconscio e potentissimo sul quale si fonda la relazione con “lei”. La motocicletta diventa un oggetto proiettivo, la caratterizziamo con parti del nostro Sé, attribuiamo a lei alcune delle nostre caratteristiche, emozioni, limiti, aspetti del nostro Sé ideale e qualche volta del nostro Sé fallimentare. È per questo che la nostra moto la possiamo amare, odiare, temere, spesso quando nessuno ci sente ci parliamo, la chiamiamo e ogni tanto la offendiamo.

Tutto questo sta alla base della relazione moto-motociclista, ci permette di fonderci in un’unica entità, di arrivare a sentire la moto come un prolungamento del nostro corpo e muoversi con lei in modo armonico e naturale. Per questo ci innamoriamo, ci fondiamo in un rapporto simbiotico, vediamo in lei il meglio di noi o quello che desideriamo essere, la nutriamo di attenzioni, gadget, accessori tecnici che modificano le prestazioni, ma che spesso non vengono sfruttati fino in fondo, perché in realtà attraverso “lei” sfamiamo parti di noi.  Gli appassionati di custom ad esempio evidenziano questo aspetto più di altri,  la moto diventa un monumento a sé stessi, un’opera d’arte sulla quale specchiarsi e confrontarsi con gli altri, arrivando persino a modificare profondamente le caratteristiche tecniche della moto rendendola talvolta più difficile da guidare pur di personalizzarla.

In alcuni casi però possiamo trovarci in difficoltà: quando non ci sentiamo confidenti e non conosciamo a pieno le dinamiche della moto e le tecniche per poterla governare possiamo confonderci e non capire più  cosa abbia a che fare con noi e cosa con la moto. C’è il rischio quindi che non conoscendo bene la nostra “lei” possiamo mischiare e confondere quello che proiettiamo con le reali caratteristiche della moto. Infatti è un classico sentir dire: “con questa moto più di così non si può piegare” o “queste gomme che ho comprato non vanno bene, tendono a scivolare”. Se non riusciamo a guidare con serenità, possiamo proiettare i nostri limiti, paure, incertezze, pensando che sono aspetti della moto e corriamo il rischio di attivare il circolo vizioso del disinnamoramento: più perdiamo confidenza, più ci spaventiamo e più proiettiamo sulla  moto la nostra paura identificando in “lei” i problemi di una relazione ormai in crisi.

Molti continuano una difficile convivenza facendo finta di niente, altri massacrano il conto in banca cambiando selle, manubri, sospensioni, alla ricerca del problema, altri ancora la lasciano cercandone un’altra, andando a sbattere però nelle stesse antiche dinamiche.

Difficilmente ci pensiamo, ma la crisi può diventare l’occasione per poterci mettere in discussione e intraprendere un lavoro su di noi che ci consenta di capire i nostri limiti e saggiare le reali potenzialità del mezzo.

Per poter approfondire il rapporto con lei è fondamentale avventurarsi in un processo verso la conoscenza di noi, cercando di capire cosa “mettiamo” nella relazione con la moto, ma anche cosa può fare lei e in che modo. È un lavoro di coppia che solo noi possiamo intraprendere ma che può cambiare la relazione con il nostro amore.

 

Prova Honda VFR 1200F

L’esemplare provato è nuovo si zecca (300 km all’attivo) ed è dotato di ABS di serie. La prova è stata condotta su un percorso asciutto urbano, misto e autostradale.

Posizione di guida

La posizione è comoda, con pedane moderatamente arretrate e manubrio non troppo basso né lontano dalla sella. Ne risulta una seduta naturale, adattissima al tipo di moto. La sella è un po’ alta (815 mm), ma l’appoggio a terra risulta comunque facilitato dalla sottigliezza della moto nella parte centrale. Non sono previste regolazioni della sella o delle pedane, mentre ci sono i registri sulle leve al manubrio.

Da fermo

Honda VFR 1200FLa moto è un po’ pesante per la cilindrata (267 kg in ordine di marcia, cioè con tutti i liquidi e il serbatoio pieno), probabilmente a causa dell’architettura a V del motore, ma nelle manovre da fermo sembra più leggera di quanto dichiarato, grazie al baricentro basso e all’equilibrio generale. Il cavalletto laterale è comodo da azionare anche stando in sella, e a richiesta è disponibile anche il cavalletto centrale.

Capacità di carico

La moto può essere equipaggiata con topcase da 31 litri, valigie laterali da 29 litri e borsa serbatoio da 7 litri, per un totale di 96 litri; una capacità discreta.

Motore

Il motore presenta una rumorosità relativamente marcata al minimo, superiore a quella dei quattro in linea della stessa casa, ed è caratterizzato dalle tipiche vibrazioni della configurazione a V, evidenti a tutti i regimi, ma piacevoli e mai eccessive. Il rumore in marcia è piuttosto contenuto, e tende a scomparire rapidamente al crescere della velocità. Il timbro di voce del V4 è molto piacevole. Fino a 4000 giri il tiro è un po’ sottotono, pur consentendo una guida senza problemi (anzi, rendendo più semplice la guida sul bagnato e in città), mentre subito sopra tale regime la spinta si fa vigorosa e rimane praticamente costante fino al massimo dei giri. Il motore gira comunque rotondo anche a basso regime, e non presenta alcun difetto di erogazione né apri-chiudi. Notevole l’isolamento dal calore garantito dalla doppia carena, che devia l’aria calda emessa dalle due elettroventole lontano dalle gambe del pilota.

Trasmissione

Il cambio si manovra bene, ma non è il migliore esistente in commercio. In particolare, fa un po’ di scalino nell’innesto delle marce a salire a basso e medio regime, almeno sull’esemplare provato. I rapporti sono spaziati regolarmente e abbastanza lunghi (a 120 km/h in sesta siamo a circa 4300 giri). La strumentazione comprende un indicatore della marcia inserita. La frizione idraulica è impeccabile, morbida, resistente e progressiva. La trasmissione finale a cardano è un capolavoro: totalmente priva di giochi, riesce ad eliminare anche ogni movimento di beccheggio, pur essendo priva del braccio di reazione.

Freni

L’impianto è potente e ben modulabile. Oltre che per l’ABS, per nulla invasivo,  è caratterizzato dallo schema di frenata CBS. Questo sistema è al top per quanto riguarda la sicurezza, perché ciascun comando aziona entrambi i freni, sia pure con una diversa ripartizione (il pedale ha un effetto prevalente sul freno posteriore e la leva sul freno anteriore), e questo minimizza la possibilità di sbilanciare l’assetto della moto in frenata, specie in curva, e riduce la tendenza al bloccaggio, o meglio, all’innesco dell’ABS. Tale risultato è ottenuto mediante pinze freno speciali, nelle quali una parte dei pistoncini è azionata dalla leva e un’altra parte dal pedale, soluzione che impone il raddoppio dei circuiti idraulici, ma che ha il pregio di funzionare anche a quadro spento, a differenza del principale sistema corrente, l’Integral ABS della BMW. Tale sistema però è responsabile di una caratteristica a mio parere negativa, che emerge soprattutto nella guida sportiva: premendo il pedale posteriore in curva, la moto rallenta, ma non chiude la traiettoria – come di solito avviene – a causa del lieve effetto raddrizzante indotto dal freno anteriore, con il risultato di ridurre la maneggevolezza e, soprattutto, di limitare la possibilità di variare la direzione in caso di curva presa troppo allegramente o di un imprevisto. Per ottenere tale effetto è dunque possibile affidarsi al solo freno motore, perciò conviene affrontare le curve con una marcia bassa, anche perché in tale circostanza non è possibile fare alcun affidamento sul freno anteriore, che induce un marcato effetto raddrizzante. Al contrario, in rettilineo il comportamento dei freni è perfetto. In particolare, oltre alla potenza, vengono in aiuto la forcella rigorosa, l’interasse piuttosto lungo e il baricentro basso.

Sospensioni

Le sospensioni sono piuttosto rigide, ma non al punto tale da creare problemi nella guida sullo sconnesso. La taratura è risultata tale da garantire un ottimo comportamento in qualsiasi circostanza, anche alle velocità più elevate, dove le oscillazioni indesiderate sono totalmente assenti.

Comportamento su strada

La moto è molto scattante e veloce, ma allo stesso tempo è estremamente facile da gestire nella marcia a bassa velocità, grazie ai rapporti relativamente lunghi, alla coppia relativamente limitata ai bassi regimi, alla dolcezza dell’erogazione e all’assenza di apri-chiudi. Telaio e avantreno sono granitici e assicurano una stabilità ottima a qualsiasi velocità. Anche la maneggevolezza è buona, pur senza raggiungere i livelli di eccellenza di una K1300S, soprattutto per la già citata mancanza di efficacia direzionale del freno posteriore in curva. Il risultato è una bella guida, che con una diversa regolazione del sistema CBS diventerebbe bellissima.

Comfort

La moto risulta abbastanza comoda, grazie alla posizione di guida impeccabile, all’assetto non troppo rigido, alla sella un po’ dura, ma larga e ben fatta e alle vibrazioni non eccessive. La protezione aerodinamica però è discreta, con la testa che risulta quasi completamente scoperta. A richiesta è disponibile un deflettore supplementare regolabile che dovrebbe migliorare parecchio la situazione.

Consumi

La relativa brevità della prova non mi ha consentito di effettuare rilevazioni. Il serbatoio da 18,5 litri è un po’ piccolo per una moto che ha ambizioni di turismo sportivo.

Pregi

  • Buon motore, potente, ma gestibile
  • ABS impeccabile Stabilità eccellente

Difetti

  • Impossibilità di chiudere la curva con il freno posteriore, dovuta al sistema CBS
  • Serbatoio un po’ piccolo
  • Coppia un po’ limitata a basso regime

Prova BMW R1200GS Adventure 2010

L’esemplare provato è un Model Year 2010 equipaggiato con ABS, appena uscito dal tagliando dei 1000 km. La prova è stata condotta su un percorso perlopiù asciutto, a tratti umido, comprendente un tratto misto e uno autostradale.

Posizione di guida

La posizione è caratterizzata dal manubrio alto, largo e ravvicinato e dalle pedane abbastanza avanzate e distanti dalla sella. La posizione risultante è comoda, con l’unico appunto di un’angolo dei polsi un po’ innaturale, dovuto alle manopole quasi perfettamente orizzontali. La guida in piedi non presenta problemi (solo i più alti sentiranno la necessità di alzare ulteriormente il manubrio), agevolata anche dalla presenza dello spessore ribaltabile sul pedale del freno, che facilita l’uso del pedale stando in piedi. La sella può essere regolata in due posizioni, a 89 e 91 cm da terra. La larghezza è limitata e le gambe non hanno ostacoli, ma la gestione dell’equilibrio è problematica se si è alti meno di 1.75-1,80, complice anche il peso non indifferente. Le leve al manubrio sono regolabili.

Da fermo

La moto pesa 223 chili dichiarati a secco, che con i liquidi e il pieno di carburante diventano 256. Più i telai e le borse in alluminio, più gli optional, insomma, alla fine il peso non è indifferente ed equivale a quello di una R1200RT a parità di equipaggiamento. Le manovre devono essere ovviamente condotte con una certa attenzione, e anche salire e scendere non è facilissimo, almeno se non si è spilungoni; conviene usare sempre il cavalletto laterale e issare la moto sul centrale solo una volta in piedi. Se non altro, i cavalletti sono agevoli da usare.

Motore

Il motore è l’ultima variazione sul tema boxer 4v. Come tutte le unità di questa serie, spicca più per la coppia che per la potenza, presenta vibrazioni evidenti ma non eccessivamente fastidiose a tutti i regimi ed è caratterizzato da una “strana” coppia di rovesciamento dovuta all’albero longitudinale, particolarmente evidente quando si dà gas da fermo oppure per scalare marcia (anche se, occorre precisarlo, sia le vibrazioni che la coppia di rovesciamento sono sensibilente minori che sulle vecchie 1150, grazie alla presenza di un contralbero equilibratore). Però quest’ultima versione è riuscita particolarmente bene, perché nell’uso il motore evidenzia una disponibilità di coppia praticamente costante a qualsiasi regime, tanto da rendere possibili riprese vigorose fin dai 1500-2000 giri anche in salita. Si potrebbe dire che offre sia la pienezza ai bassi del 1100-1150 che la potenza agli alti del 1200 monoalbero, senza evidenti buchi di coppia. In più, il motore sfodera un allungo sconosciuto al vecchio 1200 (e ancor di più alle serie precedenti), tanto che tira dritto fino agli 8500 giri del limitatore senza alcuna esitazione e senza alcun aumento delle vibrazioni in prossimità del limite. Al godimento dovuto alle buone caratteristiche di funzionamento si aggiunge una rumorosità nettamente superiore rispetto ai modelli precedenti, con un timbro più cupo, tanto da sembrare dovuta ad uno scarico aftermarket (con il dB killer inserito, ovviamente). Chi si aspetta più potenza da questo nuovo bialbero rimarrà deluso, tutti gli altri si godranno un motore perfettamente equilibrato e adattissimo a questa moto.

Trasmissione

Il cambio, dalla corsa abbastanza corta, è preciso, abbastanza morbido e anche silenzioso. I rapporti sono ben spaziati e relativamente corti (a 120 km/h in sesta siamo verso i  4500 giri). La strumentazione comprende un indicatore della marcia inserita. La frizione monodisco idraulica è progressiva e la trasmissione a cardano non crea alcun problema alla guida.

Freni

BMW R1200GS AdventureL’impianto Integral ABS funziona molto bene. Dotato di un ABS poco invasivo, è privo dei servofreni elettrici, che avevano creato non pochi problemi di affidabilità all’impianto adottato in precedenza dalla Casa. Pur mantenendo tutta la potenza frenante del vecchio impianto, non c’è dubbio che la sua modulabilità sia migliorata notevolmente, tornando ad essere del tutto normale.

L’architettura si basa su due circuiti frenanti tradizionali, l’anteriore azionato dalla leva e il posteriore azionato dal pedale. La frenata integrale è ottenuta attraverso la pompa elettrica di ripristino della pressione frenante, che a quadro acceso aziona il freno posteriore quando si agisce sulla leva al manubrio, modulandone opportunamente la potenza in funzione delle circostanze.

In caso di guasto della pompa, vengono a mancare la frenata integrale e l’ABS, ma la potenza frenante rimane invariata e sempre disponibile al 100%, a differenza del vecchio impianto, basato su un’architettura completamente diversa, dove la rottura dei servofreni si traduceva in un drastico aumento dello sforzo frenante, con netto peggioramento degli spazi di frenata.

Unico inconveniente di tale schema è che se si frena con entrambi i comandi, il loro effetto sul freno posteriore si somma, col risultato che esso tende a bloccare prematuramente e a far entrare l’ABS. Ma si tratta di un inconveniente marginale, perché in effetti, questa moto può essere guidata in ogni circostanza utilizzando il solo freno anteriore, perfino quando si vuole correggere la traiettoria in curva, perché l’assenza di qualsiasi tendenza autoraddrizzante consente alla moto di chiudere comunque la curva. Se poi proprio si vogliono mantenere le buone abitudini, è possibile comunque controllare la traiettoria in curva “pelando” il freno posteriore con il pedale.

La moto rimane abbastanza stabile anche nelle staccate più violente, grazie soprattutto alla sospensione anteriore Telelever ,che riduce drasticamente l’affondamento dell’avantreno ed evita la riduzione dell’avancorsa in frenata tipica delle moto “normali”, ma la ridotta sezione delle gomme determina un leggero effetto galleggiamento, comunque non preoccupante.

Altra conseguenza della presenza del sistema Telelever è la rapidità con cui l’avantreno va in appoggio nelle staccate violente, cui consegue la possibilità di pinzare quasi subito con la massima forza e quindi la massima prontezza possibile nelle frenate di emergenza.

Sospensioni

La moto provata non montava il sistema ESA di adattamento della taratura delle sospensioni durante la marcia. Le sospensioni di serie sono molto morbide e a corsa lunga. Ne deriva un comportamento quasi dondolante, che però non crea problemi alla guida, grazie alle particolari sospensioni Telelever e Paralever, la cui geometria limita drasticamente i movimenti di beccheggio dovuti ai trasferimenti di carico. La moto quindi è molto comoda e le ruote copiano fedelmente le sconnessioni anche pronunciate, rendendo la guida molto rilassante in ogni condizione.

Comportamento su strada

La guida di questa moto è molto facile ed equilibrata, ad un livello che non capita spesso di trovare in giro. Il motore è particolarmente riuscito. La coppia notevole e regolare e l’allungo interessante consentono una fluidità di movimento eccezionale in ogni situazione e rendono possibile dimenticarsi del cambio in molte circostanze, e perfino le sue vibrazioni, che su una tourer (leggi R1200RT) potrebbero essere fuori luogo, qui sono perfettamente adeguate allo spirito enduristico della moto. Le caratteristiche della ciclistica descritte sopra, unitamente ad un’avancorsa particolarmente ridotta (soltanto 89 mm, contro i 101 della GS standard), donano poi alla moto un comportamento neutro e una maneggevolezza notevole, rendendo la guida sul misto una questione piuttosto divertente, senza compromettere la stabilità sul veloce, che rimane più che buona, anche se non granitica come sulle vecchie R1150GS. Come su tutte le BMW di alto livello, la particolare geometria della sospensione anteriore consente di ritardare di molto la staccata durante l’inserimento in curva, perché l’assetto della moto non ne risente minimamente, né è presente alcun effetto autoraddrizzante. La postura turistica non consente ovviamente di avere una grossa percezione di quello che accade all’avantreno, per cui bisogna fidarsi, e ciò può mettere a disagio chi proviene da moto più caricate sull’avantreno. Ciò nonostante, la sensazione di controllo che si ha sul misto alla fine è più che buona e superiore a quella ottenibile sulla R1200GS standard, probabilmente a causa del maggior peso.

Comfort

Le sospensioni sono ovviamente molto comode, ma il bello di questa maxienduro è la protezione aerodinamica, in assoluto ottima e paragonabile a quella di una buona tourer. Tale risultato è stato ottenuto armonizzando al meglio numerosi dettagli: parabrezza maggiorato e ben studiato, deflettori laterali, paramani, serbatoio maggiorato che ripara le gambe dalla pressione del vento, cilindri del motore boxer. La sella comoda e le distanze corrette tra questa, le pedane e il manubrio completano il quadro. Le sole cose che possono dare fastidio alla lunga sono la postura verticale, che alcune schiene non gradiscono troppo, e la posizione poco naturale dei polsi dovuta alle manopole orizzontali.

Consumi

Il consumo medio effettivo si attesta intorno ai 17/18 km/l, in percorso misto. Il generoso serbatoio da 33 litri consente agevolmente percorrenze di oltre 500 km tra un pieno e l’altro.

Pregi

  • Equilibrio generale
  • Regolarità del motore
  • Facilità di guida
  • Confort (molleggio e aerodinamica)

Difetti

  • Altezza da terra notevole
  • Posizione dei polsi poco naturale

Prova BMW S1000RR 2010

La prova si è svolta presso l’Autodromo di Vallelunga, sull’asciutto e sul bagnato, e si riferisce a diversi esemplari con pochi chilometri all’attivo, tutti dotati di Race ABS, sistema di controllo della trazione DTC e cambio elettroassistito ed equipaggiati con gomme Michelin Pilot One.

Posizione di guida 

La posizione è ovviamente sportiva, con pedane relativamente alte e arretrate e semimanubri abbastanza bassi, pur se non troppo lontani dalla sella, ma non esasperata come su altre race replica, perciò la moto è relativamente confortevole e consente percorrenze anche interessanti.

La sella è relativamente alta, pur restando nella media della categoria. Non vi sono ostacoli nel poggiare i piedi a terra.

La sella, né dura né cedevole, non è regolabile, mentre ci sono i registri sulle leve al manubrio. Sono disponibili a richiesta anche delle splendide pedane regolabili in altezza e avanzamento.

Passeggero

Il passeggero non è una presenza gradita: sella piccola, poco imbottita e molto alta, assenza di appigli e pedane molto ravvicinate determinano una posizione molto scomoda, alla quale si possono sottoporre per tratte molto brevi soltanto i più masochisti.

Da fermo

La moto è leggera (206, 5 kg con il pieno per la versione con ABS) e facile da gestire. Il cavalletto laterale è un po’ scomodo da raggiungere.

Motore

BMW S1000RRIl motore è senza dubbio una delle grandi sorprese di questa moto. Potentissimo e dotato di un allungo eccezionale anche rispetto alle altre moto della categoria, è dotato anche di una coppia notevole, gira in modo perfettamente regolare a tutti i regimi e in particolare a quelli più bassi e vibra poco. Tali caratteristiche lo rendono perfettamente adatto anche all’uso su strada e consentono di fare un uso molto limitato del cambio, perfino in pista. Davvero impossibile pretendere di più.

Eppure su questa moto si può davvero ottenere di più, perché acquistando il sistema di controllo della trazione DTC c’è la possibilità di scegliere quattro diverse mappature (Rain, Sport, Race e Slick), che agiscono sulla potenza, sulla prontezza dell’erogazione e sul sistema ABS. La cosa sensazionale è che il sistema è in grado di leggere l’inclinazione della moto in curva e quindi di regolare la coppia massima in funzione di essa, riducendola gradualmente all’aumentare dell’inclinazione.

Grazie a tale caratteristica, il settaggio Rain rende la moto un giocattolo perfettamente gestibile da chiunque e praticamente a prova d’errore. Ho provato in varie circostanze a spalancare il gas in curva, e in nessun caso sono riuscito a farla derapare o a metterne in crisi l’assetto in alcun modo, perché il sistema, basato su uno schema drive-by-wire (la manopola del gas non è collegata direttamente al motore, ma agisce attraverso un sistema elettronico), limita dolcemente ma drasticamente l’accelerazione, fino praticamente ad azzerarla quando la moto è molto inclinata, e la consente di nuovo solo quando la moto inizia a raddrizzarsi al termine della curva.

Via via che si sale di grado con la mappatura, i controlli elettronici diventano sempre meno invasivi fino a poter essere esclusi del tutto.

A partire dalla mappatura Sport, dove già è disponibile la potenza massima, l’accelerazione è di assoluto rilievo, tanto che la moto tende ad impennare anche nelle marce alte, anche se viene tenuta rigorosamente a bada dall’elettronica. In tale circostanza, il motore mostra una rapidità impressionante nel prendere i giri e un allungo da record per un mille. Anche la coppia ai bassi regimi è impressionante, perciò è possibile  circolare in sicurezza in sesta anche a velocità limitata, potendo uscire dalle curve con tutta la spinta che serve.

Trasmissione 

Il cambio ha corsa cortissima, è secco e preciso ed è rumoroso solo nell’innesto della prima da fermo. La strumentazione comprende un grande indicatore della marcia inserita, ben visibile anche nella guida veloce, e c’è anche il flash per il cambio marcia. La manovrabilità è già ottima di base, e con la cambiata elettroassistita (optional), salire di rapporto diventa un velocissimo gioco da ragazzi: le marce entrano come il burro senza il minimo sussulto anche a gas spalancato ed è possibile cambiare agevolmente anche a moto inclinata. Unico difetto di questo cambio è che il folle non è molto facile da trovare. La frizione meccanica è relativamente leggera. In tutti gli esemplari provati attaccava dopo aver rilasciato la leva soltanto per pochi millimentri dal tutto tirato; nella guida la cosa è ininfluente, ma in partenza occorre farci l’abitudine, almeno per chi proviene da un K, la cui frizione attacca negli ultimi tre millimetri di corsa della leva. Comunque, è abbastanza progressiva e non dà alcun problema in qualsiasi circostanza. La finale è ovviamente a catena, una catena con cui si potrebbe tenere appeso un autotreno senza fatica.

Freni

La frenata è fin troppo pronta e potentissima, senza alcun confronto con qualsiasi moto stradale; ne consegue una modulabilità migliorabile. Non so quale sia la resistenza nell’uso estremo prolungato, ma so che mi ci vorrà parecchia esperienza in più per scoprirlo. Ciò nonostante, la presenza dell’ABS, la cui soglia di intervento varia al variare dei settaggi del DTC, rende impossibile qualsiasi bloccaggio, anche se consente un certo grado di stoppie. Il sistema antibloccaggio è estremamente progressivo nell’intervento, in virtù di una frequenza di lettura molto elevata, tanto che la leva vibra in modo a malapena percettibile, e per farlo intervenire con i settaggi più sportivi ci vuole un po’ di pelo sullo stomaco, perché al motociclista normale basta e avanza una decelerazione minore di quella di intervento del sistema, almeno sull’asciutto. Nei settaggi più facili la leva anteriore agisce anche lievemente sul freno posteriore, eliminando ogni tendenza autoraddrizzante e rendendo la frenata più omogenea ed equilibrata. Invece, nelle posizioni hard del DTC, l’ABS agisce solo sul freno anteriore, consentendo le derapate del retrotreno, e può anche essere escluso del tutto.

Comportamento alla guida 

La moto ha una ciclistica del tutto tradizionale e quindi ha caratteristiche di guida simili a quelle della concorrenza e diverse da quelle degli altri modelli di punta della Casa. Le sospensioni offrono tutte le regolazioni possibili, compresa quella per le alte e basse velocità di smorzamento, che consente di differenziare l’assorbimento delle sconnessioni brevi da quello degli ondeggiamenti dovuti alle variazioni di assetto. Le regolazioni possono essere effettuate senza attrezzi; per alcune si opera attraverso la chiave di avviamento, usata a mo’ di cacciavite. Con i settaggi standard, la moto è neutra, leggera, maneggevole e abbastanza svelta a scendere in piega, ma sicuramente ci sono moto più maneggevoli di questa, che, dotata di un avantreno granitico, è stabile ed estremamente precisa anche alle velocità più elevate. Questo comportamento mi ha stupito molto in positivo, perché mi aspettavo una guida molto più nervosa, mentre con questa moto si può viaggiare rilassati in qualunque circostanza, complice anche la posizione di guida non estrema. Dove la moto si distacca in modo veramente impressionante da qualsiasi altra è nel sistema DTC (optional), che agisce anche sull’ABS, e nel cambiamento che i suoi suoi vari settaggi imprimono alla dinamica di guida. In modalità Rain il motore ha un comportamento molto docile e la sua guida impegna meno di quella di una K1300S, prontezza dei freni a parte. Girare su pista asciutta con tale modalità è veramente bizzarro e anche controproducente, perché quando si è in piega oltre un certo angolo, il DTC inibisce del tutto l’accelerazione, per cui se da un lato si può spalancare il gas in curva senza alcun rischio di cadere né scompensare l’assetto, dall’altro si perde la possibilità raddrizzare la moto dando gas e diventa necessario farlo accentuando la sterzata o agendo sulla pedana esterna. Già con la modalità Sport già le cose cambiano nettamente. Il motore offre la massima potenza, ma la manopola del gas agisce sempre in modo molto progressivo sulle farfalle, per cui il comportamento rimane sempre perfettamente controllabile. L’accelerazione e in particolare l’allungo diventano davvero eccezionali e la differenza rispetto alle K cambia segno, da negativo ad un positivo abbondante. E anche il comportamento in curva cambia, perché diventa possibile dare molto più gas a moto inclinata, pur rimanendo sempre sotto il controllo dall’elettronica, e quindi la guida si fa molto più divertente e adatta alla maggior parte dei motociclisti, anche ai pistaioli non troppo navigati. Il passaggio alla modalità Race imprime un’ulteriore svolta alla guida, sia per l’ulteriore innalzamento delle soglie di intervento di ABS e DTC, sia soprattutto perché il comando del gas diventa nettamente più reattivo e in sintonia con il comportamento dei freni. Con questa modalità la moto diventa una belva di cui avere rispetto, ma nonostante tutto, rimane sempre un oggetto gestibile con relativa facilità, grazie alla docilità e alla regolarità del motore, almeno finché si rimane sotto il regime di coppia massima, cosa peraltro abbastanza facile, vista la quota stratosferica a cui esso si trova. Esiste un’ulteriore modalità, la Slick, pensata per la guida in pista con pneumatici non scolpiti e non attivabile attraverso il pulsante sul manubrio, bensì attraverso un comando posto sotto la sella.  Il suo uso su strada è del tutto inutile, e credo che siano pochi i motociclisti che anche in pista ne potranno sfruttare tutte le potenzialità.

Comfort

Parlare di comfort è forse un po’ eccessivo con una moto del genere, ma è innegabile che la S1000RR sia relativamente comoda, grazie alla posizione di guida non esasperata, e consenta tratte anche lunghe senza affaticare il pilota, almeno finche non si esagera con lo sconnesso. Le sospensioni consentono comunque di tarare la moto in modo da poter essere usata senza problemi su strada. La protezione aerodinamica è buona per la categoria e non evidentemente peggiore di quella garantita da una K1300S. In più è disponibile un cupolino più alto, oltre al quale la BMW offre due borse, una da serbatoio e una da installare sullo strapuntino del passeggero, a sottolineare l’insospettabile versatilità di questa moto.

Pregi

  • Sicurezza garantita dall’elettronica eccezionale e raffinatissima
  • Motore altrettanto eccezionale, potentissimo, sfruttabile anche ai bassi e regolare
  • Stabilità di riferimento
  • Confort accettabile

Difetti

  • Sistemazione di fortuna del passeggero
  • Frenata potente, ma non perfettamente modulabile

Si ferma prima una tourer o una race replica?

Uno dei principali argomenti nelle conversazioni da bar sulle moto è quello relativo agli spazi di frenata. Opinione comune è che una moto sportiva freni in spazi minori di quelli possibili con una tourer, grazie ai freni più potenti e al minor peso.

Ma è proprio vero? Facciamo un po’ di luce sulla questione.

Per ragionare sulla frenata di una moto occorre tenere presenti le seguenti grandezze:

  • la sua energia cinetica, cioè la quantità di energia che occorre dissipare per arrestare la moto;
  • l’aderenza degli pneumatici sull’asfalto, da cui dipende la forza frenante che si può trasmettere al suolo;
  • la potenza dei freni, che deve essere adeguata all’energia cinetica in gioco;
  • la posizione del baricentro, da cui dipende la tendenza della moto a ribaltarsi in frenata.

Energia cinetica

L’energia cinetica di un veicolo aumenta con la massa e con il quadrato della velocità, quindi al raddoppiare della massa anche l’energia cinetica raddoppia, mentre al raddoppiare della velocità essa quadruplica; ne consegue che la velocità è assai più importante della massa.

Per evidenziare la cosa, mettiamo a confronto due moto radicalmente diverse: una grossa tourer da 280 kg + 80 kg di pilota + 60 kg di passeggero + 20 kg di bagagli = 440 kg in grado di raggiungere i 240 km/h e una race replica da 200 kg + 80 kg di solo pilota = 280 kg in grado di toccare i 300 km/h.

Honda CBR 1000 RR
BMW K1300GT

Nel caso della tourer, l’energia cinetica alla massima velocità e a pieno carico sarà pari a circa 978 KJoule, mentre per la race replica con il solo pilota saremo, alla sua velocità massima, a circa 972 Kjoule, quindi praticamente uguale, nonostante il peso nettamente inferiore.

Aderenza degli pneumatici sull’asfalto

Il primo parametro che determina l’aderenza è il coefficiente di attrito dello pneumatico con l’asfalto, cioè la forza longitudinale o trasversale che esso può sopportare prima di slittare. Esso può variare, su asfalto nuovo e asciutto, da circa 1 per una moderna gomma turistica a 1,2 circa per una gomma sportiva, per arrivare a 1,6 e oltre per una slick usata nei massimi campionati. Da ciò deriva che gli pneumatici in commercio consentono decelerazioni comprese tra 1 e 1,2 g.

Dato il proprio coefficiente d’attrito, l’aderenza offerta da uno pneumatico su una data superficie è una funzione lineare dell’ampiezza della propria impronta a terra e del carico specifico, cioè del peso gravante su di essa. Nel caso del nostro confronto, possiamo facilmente ipotizzare che le misure degli pneumatici delle nostre due moto siano le stesse (le classiche 120/70-17 e 190/55-17), e quindi che siano uguali anche le rispettive impronte a terra, a patto che la pressione sia regolata correttamente. Perciò, assumendo che entrambe le moto siano equipaggiate con pneumatici aventi lo stesso coefficiente d’attrito (anche se di solito le race replica sono equipaggiate con gomme più sportive rispetto alle tourer), abbiamo che l’aderenza disponibile dipende soltanto dal peso ed è proporzionale ad esso. In altre parole, più una moto pesa, più l’aderenza dei suoi pneumatici aumenta.

Ma come abbiamo visto più sopra, anche l’energia cinetica che gli pneumatici devono fronteggiare in frenata aumenta in proporzione al peso. Quindi, più la moto pesa e più l’aderenza e l’energia cinetica aumentano parallelamente. Da tutto ciò consegue che gli spazi di frenata di una moto non dipendono dalla sua massa, a condizione, ovviamente, che i freni siano abbastanza potenti da consentire la frenata al limite di aderenza degli pneumatici che la equipaggiano.

Potenza dei freni

Per fermare un veicolo in corsa occorre dissipare la sua energia cinetica in calore, e questo è appunto il compito dei freni.

Come abbiamo visto, l’energia cinetica massima sviluppabile da una leggera ma veloce race replica eguaglia quella massima sviluppabile di una pesante tourer a pieno carico. È chiaro quindi che i freni di una race replica, oggi in grado di imprimere facilmente alla moto una decelerazione superiore a 1 g (l’accelerazione gravitazionale terrestre) fino alle massime velocità, bastano e avanzano anche a bordo di una tourer, anche se questa pesa molto di più, e le consentono di sviluppare almeno la stessa decelerazione. E in effetti, buona parte delle moto moderne stradali – tranne quelle più economiche e dedicate ai principianti – hanno freni in grado di bloccare le ruote anche in velocità, anche se magari non sono belli e sexy come quelli di una Panigale.

Posizione del baricentro

Com’è intuitivo, se si frena molto e gli pneumatici hanno abbastanza grip, la moto può sollevare la ruota posteriore (stoppie) e, insistendo sui freni, ribaltarsi in avanti.

Questa tendenza al ribaltamento non dipende dal peso, ma dalla posizione del baricentro, ed è tanto maggiore, quanto più il baricentro è alto e avanzato.

Ora, assumiamo che una moto abbia il baricentro posto a 70 cm di altezza e 70 cm dietro la verticale del punto di contatto della ruota anteriore col suolo; in base ad un semplice calcolo geometrico, risulta evidente che tale moto inizierà a ribaltarsi quando la decelerazione impressa dai freni supererà 1g.

schema forze

Come abbiamo visto sopra, tutte le moto moderne di un certo livello sono equipaggiate con freni e possono essere facilmente dotate di pneumatici in grado di raggiungere e anche superare agevolmente tale decelerazione. Ne consegue che su alcune moto il limite geometrico di ribaltamento potrebbe essere l’elemento debole della catena, il parametro da cui di fatto dipendono gli spazi di frenata su tali modelli.

Di solito, sulle tourer il baricentro è piuttosto basso, perché ciò aiuta a gestire il peso della moto da fermo e la rende più maneggevole nel misto, e tende ad essere anche piuttosto lontano dalla ruota anteriore, anche perché l’interasse è piuttosto lungo. Il limite di ribaltamento di tali moto tende quindi ad essere molto lontano, tanto che di solito è più facile raggiungere il limite di aderenza e far bloccare la ruota anteriore, che provocarne il ribaltamento.

Al contrario, sulle supersportive il baricentro si trova normalmente più in alto, perché ciò aumenta la velocità di percorrenza in curva a parità di angolo di piega – vediamo se arrivate da soli a capire il perché! – ed è anche tendenzialmente avanzato, per ridurre la tendenza all’impennata e aumentare la direzionalità dello sterzo. Su tali moto quindi la regola è che, frenando correttamente su asfalto asciutto e in buono stato, si raggiunge prima lo stoppie che il bloccaggio delle ruote.

Per tali ragioni, una tourer ben gommata riesce a frenare senza ribaltarsi in spazi almeno pari e spesso anche inferiori a quello possibili con una moto pistaiola. Con buona pace degli amici del bar.

Prova Harley-Davidson XR1200X

L’esemplare provato è nuovo di fabbrica. La prova è stata condotta su un percorso asciutto urbano e extraurbano.

Posizione di guida

La posizione di guida, trattandosi di una Harley, è sconvolgente, perché sembra quella di una naked normale: sella relativamente alta, pedane al posto giusto, non avanzate (definirle arretrate sarebbe troppo) e abbastanza alte, busto leggermente flesso in avanti e manubrio largo e non troppo alto. Questa moto è fatta per essere guidata, e lo si capisce appena ci si mette in sella. Le pedane sono normali, e così pure le leve del cambio e del freno, piccole, posizionate in modo razionale e azionabili in modo moderno, cioè senza dover staccare i piedi dalle pedane. L’appoggio a terra è facilitato dalla sottigliezza della moto. L’unico neo di una posizione altrimenti molto buona è la presa di aspirazione sul lato destro del serbatoio, su cui è un po’ scomodo appoggiare il ginocchio (più che altro è un fastidio mentale, dovuto all’asimmetria). In due parole, su questa moto (perché questa XR è una moto vera) si sta seduti comodi e in una posizione che consente un ottimo controllo.

Da fermo La moto è relativamente pesante (260 kg in ordine di marcia), ma nelle manovre da fermo sembra più leggera di quanto dichiarato, grazie al baricentro basso, e quindi non mette in imbarazzo, almeno se si è di statura media. Il cavalletto, laterale è l’unica cosa che accomuna questa moto alle Harley normali, perché è scomodo, come da tradizione. Nuova la strumentazione, formata da due strumenti circolari, di cui uno accoglie un contagiri analogico, mentre l’altro, più piccolo, mostra la velocità in cifre digitali. Particolari i comandi delle frecce, presenti su tutte le Harley attuali, separati per destra e sinistra; per toglierle, c’è un sistema automatico che agisce allorché la moto cessa di essere inclinata, oppure è possibile agire manualmente, premendo nuovamente il HD XR1200Xtasto corrispondente. Il sistema è abbastanza comodo e intuitivo, però l’automatismo basato sull’inclinazione crea frequenti imbarazzi, proprio perché non funziona se la moto non si inclina abbastanza durante il cambio di direzione. Nei cambi di corsia, dove è chiaro che la moto non si inclina, si disinserisce la freccia manualmente e la cosa finisce lì, ma nelle svolte ad inclinazione ridotta, al limite dell’innesco del sistema, non si sa mai che cosa fare, e può accadere di lasciare la freccia accesa o, al contrario, di riaccenderla dopo che si è spenta da sé. Si tende quindi a guardare continuamente la spia, che è molto piccola e poco visibile, distraendosi inutilmente dalla guida. Il sistema sarebbe senza dubbio migliore senza l’automatismo, oppure con un tasto di reset separato da quelli di inserimento.

Motore

Il motore è interessante, perché senza perdere la coppia bassa tipica del bicilindrico a corsa lunga (100 Nm a 3700 giri, regime un po’ più elevato del solito, ma comunque accettabile), ha assunto un allungo più umano (si possono tirare le marce fino a circa 7000 giri, anche se conviene cambiare un po’ prima di tale soglia, per evitare il brutale inserimento del limitatore), che consente accelerazioni certo non sportive nel vero senso della parola, soprattutto se raffrontate alla cilindrata, ma sufficienti per un uso divertente. Rispetto alle altre HD colpisce la rumorosità di aspirazione, assai più evidente e non proprio gradevole, almeno a mio parere. Sicuramente il problema non si pone usando scarichi aftermarket. Le vibrazioni sono relativamente limitate e comunque congrue con il tipo di moto. Il calore trasmesso invece è parecchio, specie in città.

Trasmissione

Il cambio è, come al solito Harley, duro, legnoso e rumoroso, ma preciso. La manovrabilità però è molto buona, moderna, e rende il suo uso molto più gradevole del solito, tanto da perdonargli i difetti tradizionali. I rapporti appaiono un po’ meno lunghi del solito, vista anche la potenza maggiore. Sono solo cinque, ma bastano. La frizione è relativamente morbida e progressiva. la trasmissione finale a cinghia è perfetta, totalmente priva di giochi e di rumori.

Freni

Questa Harley atipica è  dotata di “freni” anziché di “rallentatori”. Il doppio disco anteriore, servito da pinze a quattro pistoncini, assicura decelerazioni di alto livello, e perfettamente modulabili, complici tutta una serie di elementi a favore: l’ottimo comparto sospensioni, le gomme Dunlop Qualifier, sviluppate apposta per questo modello, il baricentro basso e l’interasse molto lungo. E anche il freno posteriore risulta perfettamente modulabile e quindi non incline al bloccaggio come sulle altre Harley. L’assetto in frenata rimane stabile e preciso, a livello della migliore concorrenza. Peccato per la mancanza dell’ABS, ma l’ottima modulabilità dei freni rende questa mancanza più perdonabile.

Sospensioni

Le sospensioni sono l’ennesima grande sorpresa di questa moto. Realizzate da Showa e caratterizzate dalla forcella anteriore big piston a steli rovesciati, offrono abbondanti possibilità di regolazione, ma soprattutto garantiscono una stabilità di marcia e un’omogeneità di comportamento sconosciute alle altre Harley e degne di essere paragonate a quelle delle migliori naked di altre marche. Non rigide né cedevoli (ma in confronto alle altre Harley sono sportivissime), copiano bene anche lo sconnesso e quindi consentono un ottimo controllo della moto su ogni tipo di strada e anche alle velocità più elevate.

Comportamento su strada

La moto mantiene la disinvoltura delle altre Harley nell’andare a passeggio, ma il suo vero carattere emerge aumentando l’andatura e in particolare nel misto, dove la posizione di guida azzeccata, il tiro del motore, le sospensioni ben regolate, i freni impeccabili e il discreto angolo di piega (circa 40°) consentono una guida molto divertente e anche redditizia. Al punto da poter dare, se guidata come si deve, qualche dispiacere a motociclisti sulla carta meglio equipaggiati. Intendiamoci: l’interasse è lungo e la maneggevolezza non è quella di una Street Triple, però la prontezza dello sterzo supplisce in parte a tale caratteristica, regalando una guida disinvolta. Ma la moto se la cava bene anche sul veloce, dove la stabilità rimane buona e consente di affrontare i curvoni mantenendo il pieno controllo del mezzo.

Comfort

La capacità delle sospensioni di copiare le asperità e la posizione di guida ergonomica consentono un confort interessante e a mio parere nettamente superiore, vento a parte, a quello ottenibile su qualsiasi altra Harley, Electra Glide compresa. Trattandosi di una naked, ovviamente le cose cambiano ad alta velocità, ma in maniera meno evidente che su altre naked, nonostante la totale assenza di deflettori, probabilmente a causa dell’avantreno alto e della posizione di guida leggermente inclinata in avanti.

Consumi

La brevità della prova non mi ha consentito di effettuare rilevazioni. Il serbatoio da 13,25 litri è piccolo.

Pregi

  • Posizione di guida razionale e comoda
  • Prestazioni interessanti
  • Frenata potente, modulabile e stabile
  • Assetto sano e divertente

Difetti

  • ABS non disponibile
  • Cavalletto scomodo

Prova Ducati Multistrada 1200S Sport 2011

…CHE MOTO!!! Questo è quello che mi è passato in mente dopo aver macinato circa 600 km in sella alla Multistrada 1200, ma andiamo con ordine.

Ho avuto la possibilità di tenermi per un giorno la nuova Ducati Multistrada 1200 S, quella full in configurazione sport, con le parti in carbonio, le sospensioni Ohlins regolabili elettricamente, il controllo di trazione, l’ABS e ovviamente la possibilità di scegliere tra 4 mappe diverse (enduro, urban, touring e sport) e me la sono proprio goduta.

Che la moto piaccia o meno, è una questione molto soggettiva, ma, oggettivamente, è comunque molto bella, non copia nessun’altra ha una sua personalità e piace da qualsiasi parte la si guardi, forse il porta targa è un po’ ingombrante, tolto questo particolare è piacevole dal lato dx dove spicca lo scarico corto (ma con il termignoni a me piace di più) che lascia libera la ruota montata a sbalzo sul monobraccio che fa bella mostra di se guardandola dal lato sx, la vista frontale è molto aggressiva, belli sia gli specchietti che i paramani con le frecce integrate (però stando in sella è brutto vedere le viti che chiudono la plastica per accedere alle lampadine delle frecce).

Guardandola ancora meglio ti accorgi che è una Ducati purosangue, telaio a traliccio, motore Testastretta da 150 cv, pinze dei freni ad attacco radiale, cerchi bellissimi e nello stesso tempo mi son chiesto “Enduro???? Ma per favore è una stradale purosangue e basta!”, anche perché personalmente non mi sognerei minimamente di mettere le ruote off-road con dei cerchi del genere, un vero sacrilegio nonché un semplice modo per buttar via quattrini, secondo me alla prima buca secca te ne torni a casa con un cerchio piegato, se va bene.

Ducati Multistrada 1200S SportAltra cosa alla quale ci si deve abituare e la chiave non chiave, ovvero ti tieni in tasca sta cosina e lei la riconosce, alzi la levetta che copre il pulsante d’avviamento, il quadro si accende il bloccasterzo si toglie e puoi pigiare il pulsantino magico per avviarla, quando la spegni fai il movimento inverso e quando ti allontani da lei il bloccasterzo si mette da solo, decisamente comodo, a patto di non lasciare la scheda sulla moto………………di fatto accendo il tutto e inizio a litigare con il cruscotto multifunzione e il tastino per cambiare tutto, insomma puoi scegliere tra 4 mappe diverse, alle quali corrisponde sia un’assetto delle sospensioni che del controllo di trazione diverso per ognuna, nonché la possibilità di scegliere tra solo pilota, con bagagli, con passeggero e ancora con bagagli, insomma un casino, se poi ci aggiungi che ad esempio sia la taratura delle sospensioni che il controllo di trazione sono personalizzabili, per imparare ad usare ‘sto attrezzo micidiale ti ci va una settimana. Visto che io tutto quel tempo non ce l’ho mi limito ad usare le mappe urban, touring e sport in configurazione standard. Voi vi chiederete la mappa enduro? Nemmeno tenuta in considerazione………..

In sella ti senti subito a casa, tutto è li dove vorresti che fosse, per me che sono alto 180 cm la triangolazione sella-manubrio-pedane è perfetta. Il cupolino, anche se regolabile, l’ho lasciato nella posizione più sportiva copre bene e non ho avvertito turbolenze nemmeno alle alte velocità. Vibrazioni se ce ne sono io non me ne sono accorto, questo mezzo è così adrenalinico in qualsiasi momento che guidi sempre con il sorriso da ebete sotto al casco e delle vibrazioni non te ne accorgi, forse perché proprio non ne ha.

Un’altra cosa molto positiva è stata la sorpresa appena tirata su dal cavalletto, è talmente leggera che a momenti la metto giù dalla parte opposta, ci ho messo decisamente troppa forza perché sembra più massiccia di quello che è in realtà, e la sensazione di leggerezza aumenta appena inizia a muoversi. Sarà per il manubrio molto ampio (una libidine le vorrei tutte così le moto), sarà per la posizione eretta del busto che carica poco l’avantreno, ma sta di fatto che questa Multi è decisamente leggera, alchè ti viene in mente una domanda spontanea “se è così leggera quale sarà il suo limite nelle staccate?”

Per non farmi mancare nulla parto subito con la mappa SPORT, l’erogazione è immediata ad ogni apertura di gas, i cavalli ci sono e si sentono tutti, la coppia è tipica dei Ducati da corsa una vera purosangue, le sospensioni sono rigide ben sostenute, ha un limite in piega inarrivabile per strada, non perde mai la linea, in staccata la forcella è perfetta basta solo guardare dove vuoi passare nemmeno pensi alla piega e lei è già alla corda, in accelerazione puoi aprire il gas come vuoi, se il ruotone posteriore tiene ti spara fuori dalla curva come un proiettile, se scappa, il controllo di trazione ci mette una pezza e ti ritrovi a disegnare rigoloni neri sull’asfalto con delle derapate controllate manco fossi il migliore dei piloti. Le buche però si sentono tutte, specie dietro, è in modalità sport per cui la rigidità e d’obbligo.

Poi cambio mappa e passo alla Touring, pensavo fosse una manovra di marketing e invece qualcosa cambia e te ne accorgi. Il motore ai medi diventa decisamente più regolare, non è più quello scorbutico bicilindrico Ducati come in sport, dai bassi regimi alla zona rossa è lineare, continuo senza incertezze ne impennate di coppia, insomma una libidine, ho scoperto di andare molto più forte con il motore in questa configurazione, decisamente meno stressante e più godibile, in uscita di curva è più difficile far perdere aderenza al posteriore (oddio se spalachi il gas hai sempre 150 cavallucci per cui…..) ma in men che non si dica ti ritrovi a guidare con un ritmo impressionante e se non ti ricordi di mettere i piedi per bene sulle pedane ti consumi le scarpe in tre curve. Le sospensioni sono decisamente più confortevoli rispetto alla modalità sport ma la cosa bellissima è che la moto mantiene la stessa maneggevolezza, direzionabilità e stabilità di prima ma con un confort decisamente superiore. E’ la configurazione che mi è piaciuta di più, sia come motore che come assetto.

Torno in città e allora provo la urban, ecco l’ennesima positiva sorpresa, motore e ciclistica si trasformano al punto che sembra di guidare una bici, maneggevolissima, morbidissima di motore, puoi giocare tra le auto come se fossi su uno scooter, ha un angolo di sterzo fenomenale, il manubrio largo in questo aiuta molto e soprattutto le sospensioni filtrano bene buche, sanpietrini e tombini, e quando ti fermi al semaforo appoggi i piedi in terra benissimo.

Dimenticavo di dirvi dei freni, perfetti per modulabilità potenza e mordente, si azionano con poco sforzo e ti fanno capire bene cosa stai facendo, l’abs non sono mai riuscito a farlo entrare in azione solo in città quando c’è qualche buca o sui sanpietrini senti la leva del freno posteriore che ti balla sotto al piede.

Insomma è un mezzo dalle mille sorprese, una superbike travestita, bella, decisamente performante, ciclisticamente perfetta, non ha niente a che fare con l’enduro e soprattutto è un’associazione a delinquere, si rischia la patente ogni volta che la usi, una fun-bike comoda anche per viaggiare, ma soprattutto da usare su strade dalle mille curve ma con attenzione perché ti ritrovi a viaggiare a velocità sostenuta pensando di passeggiare.

Insomma è una moto che non comprerei mai, però ….CHE MOTO!!!!

(articolo by FRIKKE)

Think! La sicurezza secondo Her Majesty

Di Claudio Cartia

 

Apriamo una prima finestra sull’estero, per scoprire cosa si fa fuori dall’Italia per la sicurezza stradale in termini di comunicazione e campagne di informazione. Se la riduzione dell’incidentalità stradale e del numero delle vittime è un obiettivo acclarato e comune a tutti i governi dei paesi sviluppati, non altrettanto condivisi sono i mezzi e le metodologie messe in campo per raggiungere tali obiettivi.

Le campagne di sensibilizzazione sono particolarmente interessanti, rispecchiano chiaramente i diversi approcci e le diverse sensibilità verso uno stesso problema. Sono anche un argomento spesso controverso, soprattutto in Italia. Una delle obiezioni che più spesso viene sollevata nel nostro Paese riguarda l’efficacia di tali campagne, quindi l’opportunità o meno di spenderci soldi che potrebbero essere utilizzati in opere più concrete.

La seconda ha a che fare con lo stile che viene impiegato per tali campagne. La maggior parte degli spot televisivi e della cartellonistica utilizzata all’estero, soprattutto nel Nord Europa, è molto diretta, non usa metafore, mostra il morto se necessario, fa leva sulle emozioni e le paure del pubblico a cui è rivolta. Nel nostro Paese invece le campagne di sensibilizzazione (invero piuttosto rare) che arrivano sui principali canali televisivi e sulla stampa sono molto “soft”, fanno largo uso di metafore, inquadrature fuori campo e di sottintesi, evitando di mostrare immagini crude.

Chi scrive ritiene che il nostro approccio sia poco efficace… ma prima di approfondire la situazione italiana, diamo uno sguardo in casa dei nostri vicini.

THINK! – Road Safety è l’iniziativa lanciata dal Ministero dei Trasporti Britannico  nel 2000, allo scopo di unire sotto un unico marchio tutte le campagne e le iniziative di sensibilizzazione ai problemi della sicurezza stradale.

L’ambizioso obiettivo che il Governo si è dato è quello di ridurre del 40% il numero di vittime e feriti gravi sulle proprie strade entro il 2010, usando il 1986 come anno di riferimento. Sempre secondo i governanti Britannici, l’educazione e la pubblicità giocano un ruolo fondamentale nell’aumentare la consapevolezza degli utenti della strada, per cui… ecco Think!.

Le campagne promosse negli anni da Think! sono numerose e diverse. I temi più spesso affrontati sono la guida sotto l’effetto di droghe e alcool, l’attenzione verso le “categorie deboli” della strada (pedoni, ciclisti, motociclisti), il rispetto dei limiti di velocità nelle zone urbane.

Per alcune campagne sono stati creati dei portali specifici, come nel caso della guida sotto gli effetti delle droghe.

Gli spot televisivi di Think! sono generalmente di ottima fattura, realizzati da comunicatori di fama internazionale come M&C Saatchi  o WCRS, sono estremamente schietti ed espliciti, spesso drammatici.

Alcuni esempi…

Fate attenzione ai motociclisti:

Guida in stato di ebbrezza:

Cinture di sicurezza:

 

Trattandosi di Inglesi non mancano anche gli spot con un certo umorismo (e ottimismo) di fondo. Tra i più simpatici segnalo questi due:

Prova Honda Crossrunner 800 2011

LA MOTO CHE MANCAVA

La moto provata, immatricolata di recente, montava gli pneumatici Pirelli Scorpion Trail appositamente sviluppati per questo modello, che assicurano un comportamento e un grip notevoli, almeno sull’asciutto; bagnato non pervenuto.

Aspetto generale

La Crossrunner è diversa da qualsiasi altra cosa presente sul mercato. Il design è elaborato e basato su un rapporto tra le masse sbilanciato tra il posteriore, snello e filante, grazie anche allo scarico 4 in 2 in 1 basso, e un anteriore piuttosto alto (a metà tra una naked e una enduro), ma non massiccio, grazie alla snellezza della vista frontale, alle forme elaborate della carenatura, alla diversa colorazione delle sue parti, alla particolare forma del faro e al piccolo becco sottostante.

Come tutte le cose diverse, rischia di richiedere un po’ di tempo per essere capita. Personalmente, mi è piaciuta subito.

Le finiture sono nel complesso piuttosto buone – in particolare ho apprezzato le pedane, i loro supporti e i pedali – con particolari anche leziosi, quale la copertura in plastica del manubrio, che comunque non stona su una moto così diversa dalle altre.

Comandi elettrici

I blocchetti elettrici sono ben fatti e appagano anche l’occhio con un design curato.

Non sono del tutto standard, perché il tasto delle frecce si trova sotto a quello del clacson e non viceversa come di solito accade, il che all’inizio conduce a suonare il clacson quando si vogliono togliere le frecce, e ad un senso di frustrazione quando si vuole suonare il clacson e non succede niente.

In compenso c’è anche il comando per i lampeggiatori di emergenza, che a mio avviso costituisce una dotazione indispensabile per qualsiasi veicolo a motore.

I tasti grandi rendono l’azionamento agevole anche con i guanti invernali.

Strumentazione

Honda Crossrunner 800La strumentazione, posta in posizione piuttosto alta, è semplice, moderna e anche abbastanza elegante. Un unico display LCD largo e sottile raccoglie il tachimetro e l’orologio digitali, il contagiri analogico, gli indicatori del livello carburante e della temperatura dell’acqua, oltre ai soliti contachilometri.

Ha due difetti: manca l’indicatore della marcia inserita, sempre utile su una moto a sei marce ravvicinate, e i numeri sul contagiri sono minuscoli e praticamente illeggibili da chiunque non abbia 10/10, come il sottoscritto.

Illuminazione

Da segnalare il fanalino pesteriore a led.

Il test si è svolto di giorno, quindi non posso dire nulla sull’efficacia dell’impianto.

In sella

La sella è piatta, piuttosto larga, non particolarmente rigida (meno che sulla VFR1200F) e, tutto sommato, comoda; inoltre essa consente una buona libertà di movimento nella guida sul misto.

Le pedane sono leggermente alte e arretrate, come – guarda caso – sulla VFR800, ma il manubrio è alto, pur se non largo come sulle enduro. Ne risulta una posizione strana, con il busto eretto e le gambe che hanno voglia di premere sulle pedane, ma abbastanza comoda e molto piacevole nella guida sul misto.

In realtà, superata la sorpresa iniziale per l’inusuale triangolazione sella-pedane-manubrio, la cosa che spicca in questa moto – come spesso avviene sulle Honda – è la sensazione che tutto sia al posto giusto e renda le cose facili fin dal principio.

Gli specchi sono belli e funzionano bene.

Passeggero

Visto che sono andato a provare la moto in compagnia di un orco di 110 kg, ho preferito evitare di portare un passeggero.

La sella, solo poco più alta di quella del conducente, è comunque abbastanza ampia e contornata da due ampie e belle maniglie e le pedane sono poste in posizione corretta.

Capacità di carico

La moto può essere equipaggiata a richiesta con motovaligie da 29 litri ciascuna e con un topcase da 31 litri, per complessivi 91 litri di capacità.

E’ quindi possibile viaggiare anche in coppia con una buona capacità di carico senza dover ricorrere all’aftermarket.

Il serbatoio metallico consente di montare una borsa magnetica.

Manovre da fermo

La Crossrunner è pesantuccia (240,4 kg in ordine di marcia), ma è snella, priva di ostacoli per le gambe e con la sella alla giusta altezza (81,6 cm), perciò il controllo da fermo è agevole, aiutato anche dal manubrio alto, che offre una leva vantaggiosa.

Il cavalletto laterale si aziona con naturalezza ed è stabile.

Il cavalletto centrale, disponibile a richiesta, era assente sulla moto provata.

Motore

Il motore è il noto 4 cilindri a V di 90° a 16 valvole con sistema V-TEC che equipaggiava la VFR800 ultima serie. Il sistema aziona solo due valvole per cilindro fino a circa 7000 giri, per poi passare a quattro valvole oltre tale soglia. Scopo di questo tour-de-force tecnologico dovrebbe essere quello di ottimizzare la coppia ai bassi e di enfatizzare l’allungo agli alti, ovvero la quadratura motoristica del cerchio; però, sulla VFR esso dava luogo ad un motore dalla doppia personalità, pacioso ai bassi e cattivo agli alti, con una transizione assai brusca tra una fase e l’altra.

I tecnici Honda devono aver lavorato sodo su questa caratteristica, perché sulla Crossrunner il comportamento del motore è assai più omogeneo e lineare. Intendiamoci, l’entrata in coppia è comunque evidente, ma il tiro ai bassi e medi giri è più alto qui che sulla VFR, quello agli alti è un po’ inferiore e perciò il risultato è una transizione molto più morbida da una fase all’altra, che non crea alcun problema di gestione della potenza in qualunque circostanza.

Il risultato è un motore davvero interessante, praticamente privo di vibrazioni dai 3.000 giri fino al limitatore, docile al gas, abbastanza pieno ai bassi e dotato di un bell’allungo, accompagnato da un cambio di tonalità (intorno ai 7.500 giri) deciso e coinvolgente, una vera goduria per le orecchie.

L’unica cosa in cui esso lascia a desiderare è il comportamento ai bassi regimi: sotto i 2000 giri scalcia vistosamente, mentre dai 2.000 ai 3.000 sobbalza se tenuto a regime costante e vibra con evidenza quando si accelera.

La rumorosità è tutto sommato contenuta, molto piacevole a qualsiasi regime, e ovviamente aumenta all’apertura della seconda coppia di valvole, insieme al già citato cambio di timbro.

La coppia massima (72,8 Nm) è espressa allo stratosferico regime di 9.500 giri, ma in effetti il motore, pur esprimendo il meglio oltre i 7.500, è tutt’altro che vuoto al di sotto di tale soglia (la curva è sempre sopra i 60 Nm a partire da circa 3.700 giri).

Il range di utilizzo va dai 3.000 giri (cui corrisponde in 6a una velocità di 75 km/h) agli 11.500 circa del limitatore. Se si vogliono accelerazioni brucianti, basta tenere il motore sopra i 7.000 giri, mentre tutto quello che c’è sotto tale regime assicura una guida comunque fluida, piacevole e sicura (soprattutto sul bagnato).

Un’ultima annotazione sul calore trasmesso alle gambe: poco, almeno in una giornata primaverile.

Trasmissione

Il cambio è abbastanza silenzioso, preciso e ben manovrabile, con una corsa abbastanza corta, ma tende a fare un po’ di scalino nelle cambiate veloci.

Le marce sono spaziate abbastanza uniformemente (forse c’è un po’ di salto fra la 1a e la 2a), con una 6° piuttosto lunga da 25 km/h per 1.000 giri, con la quale a 130 il motore frulla a poco più di 5.000 giri.

La velocità massima di 200 km/h effettivi (autolimitata elettronicamente) può essere raggiunta sia in 5a che in 6a, e in quest’ultima marcia corrisponde a soli 8000 giri. Immagino che si possa arrivare a tale velocità anche in 4a, ma non ci ho provato.

La trasmissione finale è a catena.

La frizione è morbida e ben modulabile.

Sospensioni

Le sospensioni hanno una taratura che costituisce un buon compromesso tra confort e stabilità La forcella, di tipo tradizionale e con steli da 43 mm, non è regolabile, ma è solida abbastanza per contenere il trasferimento in frenata anche nelle staccate più violente (da stradale “sana”, non da enduro, stante anche l’escursione di 108 mm), mentre il mono Pro-link, regolabile nel precarico e in estensione, consente un buon controllo delle masse sospese, assorbe bene le piccole e medie asperità e va un po’ in crisi solo sullo sconnesso più duro.

La regolazione del mono posteriore richiede l’uso di un attrezzo; è un vero peccato, specie su una moto così versatile, perché la maggior parte degli utenti tenderà probabilmente a non adattarla alle esigenze. Non a caso, la moto provata, tarata per un peso sensibilmente inferiore al mio, così è rimasta per tutta la prova.

Freni

L’impianto è potente e ben modulabile. Oltre che per l’ABS di serie, che entra in azione solo quando serve davvero, è caratterizzato dallo schema di frenata integrale CBS.

Questo sistema è al top per quanto riguarda la sicurezza, perché ciascun comando aziona entrambi i freni, sia pure con una diversa ripartizione (il pedale ha un effetto prevalente sul freno posteriore e la leva sul freno anteriore), e questo minimizza la possibilità di sbilanciare l’assetto della moto in frenata, specie in curva, e riduce la tendenza al bloccaggio o, come in questo caso, all’innesco dell’ABS.

Tale risultato è ottenuto mediante pinze freno speciali, nelle quali una parte dei pistoncini è azionata dalla leva e un’altra parte dal pedale, soluzione che impone il raddoppio dei circuiti idraulici, ma che rispetto al principale sistema concorrente, l’Integral ABS della BMW, ha due pregi: funziona perfettamente anche a quadro spento e consente l’uso contemporaneo di entrambi i comandi freno senza alcun problema di ripartizione della frenata né di innesco prematuro dell’ABS.

Inoltre, a differenza che su altre moto della Casa, in questo caso l’uso del pedale consente di chiudere la traiettoria in curva (cosa che non avviene, ad esempio, sulla VFR1200F), eliminando così l’unico difetto che questo sistema può presentare.

In due parole: i freni ideali per una moto stradale.

Comportamento alla guida

La Crossrunner è senza dubbio molto divertente (mi accorgo che penso la stessa cosa di molte moto di questa cilindrata; dato che guido abitualmente una 1200, mi sa che devo cambiare genere), ma lo è in modo nuovo, diverso da quello di una naked, di una sport tourer o di una enduro, perché qui c’è il rigore delle sospensioni di una stradale pura, ma c’è anche il manubrio alto, che insieme alle pedane arretrate dà un feeling tutto particolare, e c’è un motore piuttosto sportivo, dall’allungo fantastico e dal sound davvero splendido.

In città la snellezza della moto (almeno quando è senza le valigie) è notevole e, complice il manubrio stretto e alto, consente di svicolare con disinvoltura in mezzo alle auto e ai relativi specchietti.

Nel misto la moto dà il meglio di sé e coniuga una precisione di guida notevole, data dalla gommatura e dall’inclinazione “stradale” del cannotto di sterzo (25,45°) ad una maneggevolezza superiore alle aspettative, aiutata dal manubrio alto, che consente uno sterzo meno caricato e quindi più leggero, e da un’avancorsa da naked (96mm).

Per contro, in autostrada la stabilità non è eccelsa, (ma neanche scarsa, l’interasse è nella norma, 1.464 mm), in quanto l’avancorsa ridotta rende lo sterzo un po’ più nervoso che su una sport tourer.

Molto furba, al riguardo, è la scelta di autolimitare la velocità a 200 km/h; ciò ha consentito a Honda di adottare le quote ciclistiche “sbarazzine” di una naked 600, ma con il motore di una sport tourer 800, col risultato di ottenere un oggetto veramente divertente, potente, maneggevole e senza alcun compromesso con la sicurezza: chapeau.

La luce a terra è ottima e ci vuole un bel po’ di impegno per riuscire a strisciare i lunghi piolini delle pedane.

Comfort

Fatta l’abitudine alla curiosa triangolazione sella – manubrio  – pedane, la Crossrunner risulta abbastanza comoda, grazie alla pressoché totale assenza di vibrazioni, al molleggio corretto, alla sella larga e abbastanza confortevole e alla protezione aerodinamica fornita dal frontale alto e dal piccolo parabrezza, davvero sorprendente – consente di viaggiare col busto eretto anche a velocità elevata, in un flusso d’aria particolarmente pulito – e migliore di quella concessa da alcune sport tourer (tra cui la mia K1200S).

A richiesta sono disponibili un parabrezza più alto e largo, due piccoli deflettori per migliorare la protezione dall’aria delle ginocchia e le manopole riscaldate.

Consumi

Non li ho rilevati. Il serbatoio contiene ben 21,5 litri, cosa che dovrebbe consentire un’ottima autonomia.

Pregi

  • Motore splendido, privo di vibrazioni e con allungo e sound esaltanti
  • Guida molto piacevole in tutte le circostanze, precisa e divertente
  • Freni perfetti e molto sicuri, con ABS (di serie) e CBS ben tarati
  • Capacità di carico interessante

Difetti

  • Un po’ rigida sullo sconnesso più duro
  • Contagiri poco leggibile
  • Manca un pomello per la regolazione veloce del precarico

Si ringrazia la Concessionaria “Romanelli Moto Viterbo Srl” per averci messo a disposizione la moto per la prova.